Il giorno in cui Nils Vik morì
- Autore: Frode Grytten
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Carbonio editore
- Anno di pubblicazione: 2025
Esiste un momento buono per andarsene? Per levare gli ormeggi e congedarsi dalla vita, intendo. Il taciturno traghettatore Nils Vik comincia a familiarizzare con l’idea, qualche tempo dopo essere rimasto vedovo della moglie. Presumo. Riflette sul fatto che niente passa invano, e che le pagine sature del suo diario di bordo – restituzioni mnemoniche di facce-storie-attimi-passeggeri-fantasmi – comprovino in parallelo il grado di saturazione raggiunto egli stesso. Il suo ultimo giorno è quindi un giorno speciale: valica le colonne d’ercole del fiordo che ha circumnavigato migliaia di volte, e si concede all’abbraccio infinito del mare aperto. Una specie di cerchio che si chiude:
Era così che doveva essere stato l’inizio: un buio e una luce, il buio con questa luce dentro di sé, proprio quando la barca attraversa il fiordo oscuro con una lanterna accesa a prua. All’inizio era stato a un passo dalla vita, ora era a un passo dalla morte.
Il giorno in cui Nils Vik morì del norvegese Frode Grytten (Carbonio Editore, 2025, traduzione di Andrea Romanzi) è un romanzo lieve e raffinato - un romanzo navigante dentro e fuori i confini simbolici di acqua e terra, presente e memoria, ipnagogia e realtà –, il cui tratto interiore è dettato da un personaggio indimenticabile. Nils Vik: segnatevi questo nome perché avrete molto da imparare dal suo modo di stare al mondo. Non il solito lupo di mare di tanta narrativa, piuttosto un antieroe credibile, pacificato, a suo modo trascendente, con un corredo di medesimezza che lo approssima all’umanità che trasporta con la sua barca. Contenuto negli slanci, e senza ultime parole famose da consegnare alla storia, Nils Vik è una nemesi positiva del Caronte dantesco, lo è sulla scorta del suo essere in grado di empatizzare col prossimo (la moglie, in primo luogo).
Un giorno qualsiasi di novembre, dunque. La sua barca – tra apparizioni di vivi e morti in transito, una sorta di spoon river navigante - si stacca per l’ultima volta da una banchina norvegese. Nella circostanza senza nessuno a bordo, a parte il suo pilota, e il suo carico di fantasmi, portatori ciascuno di un frammento di storia personale (gioiosa, dolorosa, qualsiasi) impressi nella memoria del marinaio al suo viaggio definitivo. Un viaggio meditativo, quasi sapienziale, intanto che il traghetto scorre tra i fiordi come le storie degli uomini tra le impassibili montagne del tempo.
La barca scivola sulla superficie dell’acqua, le onde si muovono lente e dense. Le nuvole scompaiono di lato per qualche minuto, la luna emette un bagliore scintillante, rende il mare leggero, come sospeso in aria, prima di farlo piombare di nuovo nell’oscurità., rendendolo denso e impenetrabile come catrame liquido. Nils naviga oltre le luci tremolanti delle piattaforme petrolifere, delle petroliere, delle navi per la pesca a strascico. Lì dentro ci sono bar, orchestre, poltrone imbottite e piscine. I passeggeri sono affacciati al parapetto e lo salutano. Lui non ricambia. Prosegue, prosegue dritto.
Nils Vik non ricambia in quanto scivola sulla pianura liscia del mare e con la mente è già altrove. Il suo sguardo alla ricerca di una morgana, sua moglie, l’approdo assoluto di un’ultima Thule.
Il giorno in cui Nils Vik morì è un romanzo piacevolmente malinconico; se la vede con la morte e col tempo ma senza disperazione. Forte di un senso di compiutezza interiore che viene dalle piccole cose, dagli amori che non si dimenticano, dai ricordi – felici, pallidi, struggenti – corollario della vita.
Il giorno in cui Nils Vik morì
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