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Recensioni di libri

Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma di Ivo Ferrero

Tipografia Editrice Baima & Ronchetti, 2009 – Insolito, brillante, divertente poliziesco a tinte macabre di un archeologo torinese. Il tranquillo tran tran sulle Alpi è scosso da un seriale killer e da una poliziotta francese di rinforzo.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 11-02-2022
Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma

Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma

  • Autore: Ivo Ferrero
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Anno di pubblicazione: 2009

Serafino Donnarumma, commissario in una cittadina dell’Alto Piemonte, disciplinato all’estremo coi superiori, irascibile e schiavista coi sottoposti, Ardigò, Meucci, Saporiti, poliziotti meridionali lassù dove Annibale è transitato sui passi alpini con gli elefanti. Tutto fa pensare che sia il dirigente di polizia campano il protagonista di questo noir alla bagna càuda di un archeologo torinese, Ivo Ferrero, a cominciare dal titolo: Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma (Tipografia Editrice Baima & Ronchetti, 2009).

Niente affatto, invece, non è il dirigente PS rosso in viso e sbraitante, compiaciuto di spremere i suoi agenti: “portatemi immediatamente il materiale”, “forza, scattare! E telefonate a casa, stanotte si lavora”.
A conti fatti e romanzo letto, primattrice è l’agente speciale Denise Aragon, prestata ai colleghi italiani dalla polizia francese, per mettere la competenza sui delitti seriali al servizio del caso scabroso che attrae morbosamente l’opinione pubblica e scuote la monotonia di un habitat valligiano-montano solitamente tranquillo.

La ragione di tanta attenzione per quell’angolo del Piemonte è subito chiara, grazie a poche righe di un autore che può ritenersi soddisfatto del poliziesco light (leggero, ancorché macabro per forza di cose) affidato alla nitida impaginazione della casa editrice di Castellamonte. Si coglie anche un che di sorridente nel racconto e i personaggi riescono a farsi apprezzare: non saranno all’altezza dei grandi del crime internazionale, ma sono simpatici e pieni di difetti divertenti. Ne ha tanti anche il/la responsabile di tanti ammazzamenti, accanto perfino a qualche pregio e qualità.
Orrore e amenità sono un mix efficace in un testo che scorre facile. Si diceva dell’attenzione della stampa per i misteri di una cittadina di provincia e si è fatto cenno al macabro nella vicenda. Un esempio: “Con compiacimento, senza fretta, il carnefice passa in rivista le sue vittime, incurante del fetore che emettono”. Così Ferrero e così l’assassino, che fin dall’inizio comincia a trarre un sempre maggiore piacere dal gioco crudele che va conducendo.

Al bancario donnaiolo ha staccato la mano destra ancora da vivo e l’ha fatta trovare sul pendio affianco alla chiesa di don Giuseppe. Alla vecchia usuraia Adelina ha estratto il cuore dal petto, sempre da viva – sebbene ancora per pochissimo - e l’ha gettato insanguinato nella grotta frequentata dagli archeologi sopra una balza rocciosa. Ci sarebbero poi due orecchie senza un proprietario accertato, infilate sopra un ramo a forcella, nel canneto dove Mariuccia, la barista formosa di un paesino vicino, va a raccogliere le canne per abbellire il suo locale.

Sembrerebbe quanto basta a spingere Donnarumma in strada, a cercare indizi e stringere il cerchio intorno a un più che probabile serial killer. Invece, resta piantato saldamente nell’ufficio, a sferzare i dipendenti: “incapaci, perditempo”, “per colpa vostra, che non solamente non avete trovato l’assassino ma manco una piccola traccia, mo’ ci dobbiamo sorbire una poliziotta europea”.

In effetti, Denise è già alla sua porta. Mezzosangue e bilingue - aggettivo che fa sogghignare gli agenti e infuriare il commissario - parla bene l’italiano, con la “erre” marcata. Una bella guagliona, giovane, bruna, rotonda, scollatura vertiginosa. Il capo mette alla frusta ancora di più i tre poliziotti. L’attraente siciliano Ardigò fa da guida e autista della collega italo (la mamma) francese (il padre). È incaricato da Donnarumma di portarla sui luoghi dei ritrovamenti e dovunque voglia, alla larga dal Commissariato, dove si sta facendo quello che va fatto. A questo punto, Denise si aspetta che la polizia locale dichiari a sorpresa d’avere trovato l’assassino, come succede sempre nelle sue missioni. Non “il” colpevole, “un” colpevole, perchè non è mai quello vero. Un’esibizione artificiale di capacità investigativa: l’accusa regge dalla sera alla mattina, ma una volta consumato lo scatto d’orgoglio, si può lavorare finalmente al caso.

È così anche stavolta. Donnarumma annuncia a gran voce l’arresto di un paesano. La cantina è imbrattata di sangue, un mattatoio. È un buono a nulla, sempre in bolletta, ludopatico, in debito con tutti e mantenuto dalla madre. Improbabile, però, che sia capace di strappare cuori, mozzare mani e orecchie a persone in vita e spargerle intorno. Lo vedono tutti che non può essere quel serial killer. La Scientifica accerta che il liquido ematico nell’interrato è di un cinghiale macellato clandestinamente per un conoscente.

Il commissario strilla, batte i pugni sul tavolo. Ce l’ha con tutti: “bella figura mi facite fare”, davanti a una straniera. Denise può continuare le indagini, facendo tesoro delle intuizioni di Ardigò, che ha notato dei cocci preistorici e suggerisce l’utilità di un esperto. È il prof. Guidi, vecchio (ma non tanto) archeologo, che vive in un ex albergo in montagna.
Entra così in scena un altro protagonista, non da poco, di questa storia.

Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il gioco del carnefice. Le inchieste del commissario Donnarumma

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