Il deserto dei Tartari
- Autore: Dino Buzzati
Pubblicato nel 1940, "Il deserto dei Tartari" rappresenta il libro del successo per Dino Buzzati, uno dei maggiori narratori italiani del secolo scorso. Un successo di pubblico e di critica, che ha varcato i confini nazionali e che permane tuttora.
Ciò nonostante, il romanzo suscita nei lettori moderni, in particolar modo negli adolescenti, reazioni alquanto sconcertanti. C’è chi lo abbandona alle prime pagine, esasperato dalla lentezza della narrazione, o chi, seppur faticosamente, lo porta a termine, affermando che sarebbe stato meno impegnativo percorrere a piedi il deserto menzionato nel titolo. Eppure è strano come al giorno d’oggi i giovani, ben disposti, purtroppo sempre più frequentemente, a tuffarsi in esperienze che permettono di evadere la realtà assumendo sostanze stupefacenti, si tirino indietro di fronte a questo capolavoro. Infatti, leggendo questo romanzo, il lettore sin dai primi capitoli è catapultato all’interno di un’atmosfera surreale, metafisica, nella quale mancano del tutto connotazioni geografiche e temporali. Ed è proprio nella grande capacità di Buzzati di collocare i suoi racconti nel confine misterioso e spesso inscindibile fra realtà e irrealtà, che risiede tutto il fascino della sua opera.
Ma le ragioni che hanno spinto i critici della letteratura novecentesca a considerare questo romanzo come uno dei tesori universali della narrativa sono molto più semplici e di facile comprensione: innanzitutto la trama a suspence, che sollecita alla scoperta di qualcosa che deve per forza accadere; la sintassi estremamente semplice, con un linguaggio usuale ma non casuale, ed infine il personaggio principale, l’ufficiale Giovanni Drogo, di indubbio fascino per la grandezza morale con cui egli persegue (o si abbandona) al suo destino.
Il protagonista appena ventenne prende servizio alla Fortezza Bastiani, ultimo avamposto ai confini settentrionali del regno, che domina un desolato deserto dal quale dovrebbe arrivare un’improbabile invasione nemica. Drogo, insieme agli altri ufficiali e le truppe, quasi “malato” di attesa, passa il resto della sua vita scrutando la pianura sassosa, aspettando incessantemente l’evento bellico che illumini e riscatti la sua esistenza. Infine si trova di fronte all’unica battaglia davvero inevitabile per ogni essere umano: solamente faccia a faccia con la morte, solitaria e dignitosa, il vecchio ufficiale assapora finalmente la sua vittoria.
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Il deserto dei Tartari (1940), celebre opera dell’italiano Buzzati, si apre con il trasferimento del neo generale Drogo alla lontana e a lui sconosciuta Fortezza Bastiani, inviatovi a prestare servizio non appena terminata l’Accademia militare. Le primissime righe stabiliscono un target che verrà mantenuto inalterato per l’interezza del romanzo, ovvero il meccanismo di repulsione-accettazione della monotonia della vita. Il protagonista Drogo esordisce, infatti, ricordando i lunghi, squallidi anni del suo apprendistato, sempre uguali a se stessi, dai quali sta per riscattarsi grazie all’agognato avviamento alla carriera militare vera e propria. Ciò nonostante, questo cambiamento focale non viene vissuto con estasi ed eccitazione, ma con pacata inerzia; la medesima inerzia che alimenterà le successive azioni del protagonista. Dall’arrivo alla fortezza – affacciata su una distesa brulla e desolata, dalla quale da tempo immemore si attende di scorgere un nemico di cui si dubita oramai l’esistenza – alla decisione di restarvi oltre tempo, nulla realmente accade. Drogo affronta le giornate come una successione meccanica di eventi, quasi stesse fluttuando al di sopra della vita che nel frattempo scorre inesorabile, ma dalla quale nulla riesce ad attingere, da mero spettatore quale è ed è sempre stato. Svuotato da ogni moto interiore, è animato da un solo sentimento: l’attesa. Ogni cosa all’interno della fortezza è congelato dalla pallida attesa dell’arrivo dei Tartari. Passano dunque gli anni, il generale cresce di grado e attende, attende qualcosa che stenta ad arrivare e nell’arrendevolezza dell’attesa rinuncia a vivere realmente la sua vita, che presto si scopre interamente trascorsa senza che nulla sia mai accaduto. Quando infine le tiepide speranze di combattere il nemico vengono ripagate, per Drogo è troppo tardi: vecchio e malato, viene allontanato e privato del merito che ha aspettato di accaparrarsi per tutta la miserabile esistenza ivi condotta. Il romanzo rivela dunque l’agghiacciante evenienza di una vita sprecata nella prospettiva di fare qualcosa, anziché farla realmente. Il deserto che si estende innanzi alla fortezza non è altro che l’arido riflesso dell’interiorità dei personaggi che la infestano. La narrazione, estremamente semplice e lineare, scorre lenta quanto la vita che viene descritta, contribuendo a trasmettere una sensazione di estrema monotonia, inutilità e immobilità; immobilità che permea i vari personaggi, quasi per nulla caratterizzati, e il luogo che abitano, privo di una qualsiasi accezione geografica. Una lettura emblematica e angosciante, che richiede talvolta un deliberato sforzo di perseveranza per superare l’istinto di arrestarsi, ma che merita di essere conclusa, se non altro per svelarne l’epilogo.
Questo romanzo è un capolavoro perché in maniera semplice ed apparentemente innocua, ci descrive come,
in fondo, sia facile sprecare la propria vita, nella vana attesa di un qualcosa che mai si concretizzerà.
In realtà è un romanzo doloroso, che obbliga il lettore a riflettere.
Il protagonista è ostinatamente convinto che l’importante debba sempre e comunque ancora cominciare. Buzzati scrive: "Giovanni aspetta paziente la sua ora che non è mai venuta, non pensa che il futuro si è terribilmente accorciato, non è più come una volta quando il tempo avvenire gli poteva sembrare un periodo immenso, una ricchezza inesauribile che non si rischiava niente a sperperare." Imprigionato nella Fortezza Bastiani delle proprie abitudini di una vita sempre uguale, Giovanni Drogo vive in perenne attesa, senza mai vivere veramente. "E a più di quarant’anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo nel mondo, Giovanni si guardava attorno sgomento, sentendo declinare il proprio destino." Un finale inaspettato rende questa lettura indimenticabile. "Lacrime lente e amarissime calavano giù per la pelle raggrinzita, tutto finiva miseramente e non restava nulla da dire."
E’ un libro difficile da capire per i ragazzi perchè racconta di giorni senza gioia sempre uguali.