Il babbo di Pinocchio
- Autore: Paolo Ciampi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Arkadia editore
- Anno di pubblicazione: 2023
Un dialogo, impossibile ma intrigante, tra un giornalista-scrittore contemporaneo e un predecessore del XIX secolo, in una Firenze notturna di oggi e di ieri, teatro del loro incontro. Protagonista soprattutto il caustico, graffiante cronista e moralista ottocentesco. Questo il romanzo Il babbo di Pinocchio di Paolo Ciampi, pubblicato dalle edizioni cagliaritane Arkadia (novembre 2023, collana “Senza rotta”, 152 pagine).
Impossibile, perché i due “colleghi” sono divisi da un secolo e mezzo almeno di lunghi anni trascorsi.
Intrigante, per l’opportunità che viene concessa di sapere molto di più di quanto sappiamo di un autore tanto citato ma poco conosciuto, Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi. Il noto si limita infatti al nome in massima parte, anzi allo pseudonimo, e al protagonista popolarissimo del suo romanzo universalmente apprezzato.
Paolo Ciampi, giornalista fiorentino sessantunenne, è un viaggiatore, pedalatore e camminatore, associa letture a percorsi lenti e contemplativi per colline e montagne, anche città, raccontati in numerosi lavori. È infatti autore di numerosi libri e romanzi dai primi anni Duemila, alcuni dei quali hanno meritato riconoscimenti nazionali e sono stati trasposti in spettacoli teatrali. Tra gli oltre trenta titoli all’attivo, spicca la prima storia dei quotidiani fiorentini ed è in occasione dello studio preliminare per quel progetto che si è accostato a Carlo Lorenzini (Firenze, 1826-1890), per tutti Collodi, giornalista, scrittore e patriota.
Mazziniano volontario nel 1848 tra gli studenti toscani a Curtatone e Montanara, combattente tra i Cavalleggeri di Novara nella seconda guerra d’indipendenza italiana nel 1859, da tre anni aveva scelto di firmare con lo pseudonimo Collodi, il luogo d’origine della madre, una frazione di Pescia (Pistoia). Nell’estate del 1881 cominciò a pubblicare a puntate Le avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino, sul “Giornale dei bambini”, una testata pionieristica per ragazzi. Le raccolse due anni più avanti in un libro, conosciuto in tutto il mondo semplicemente come Pinocchio.
È la sera caldissima del 10 agosto a Firenze quando un solitario Paolo, uscito dalla redazione dalle parti del Duomo, è incuriosito da un uomo seduto su una panchina in un minuscolo giardino pubblico in San Lorenzo, piazza del Mercato Centrale. Sembra di mezza età, le mani sono una sull’altra sopra un bastone da passeggio, indossa un completo avana anacronistico, una bombetta ben calcata sulla testa che solo in “Arancia Meccanica”, gli occhiali tondi sono senza montatura, i baffi candidi, il pizzetto in perfetto ordine. Si muove con gesti lenti, pacati, senza stress: un uomo d’altri tempi.
Ciampi siede sulla stessa panchina, pur essendo le altre due libere (con le turiste non avrebbe mai osato) e quegli gli rivolge la parola: “Firenze, la città di Acchiappacitrulli”. Non si ferma, aggiunge:
Degradata, sporca, affollata di accattoni e poveracci, eppure bella. L’unica città degna di questo nome nell’intero libro.
facendo cenno alla statua di Pinocchio nel giardinetto.
È curioso che Firenze abbia dato al mondo due capolavori assoluti delle lettere d’ogni tempo, la Divina Commedia e la storia del Burattino con la “B” maiuscola. Quanto a bestseller planetari, “solo con la Bibbia non ce l’abbiamo fatta”, concordano i due concittadini.
Possibile che quel signore sia il papà di Pinocchio? Al mondo, solo Il piccolo principe lo supera in traduzioni e versioni internazionali. Il burattino ne ha più delle fiabe di Andersen, degli incantesimi di Harry Potter, del diario di Anna Frank. Lo si può leggere in arabo e in hindi, in maltese e in napoletano. Però tutti conoscono Collodi, ma non ricordano Carlo Lorenzini! Non va bene, non va affatto.
Del resto è così: gli abitanti della sua città si fanno vanto dello scrittore, ma dell’uomo se ne infischiano, l’hanno sempre trascurato. Le glorie del Giglio fanno fortuna soltanto altrove, com’è già capitato a Dante. Più amano i fiorentini e più scorticano con la lingua, convengono i due in quella che è diventata un’intensa conversazione, a passeggio per una calda Firenze notturna.
A un centinaio di metri, in una strada stretta, “stirata per il lungo”, via Taddea, c’è una targa modesta al civico 21, quasi a scansare l’attenzione, piuttosto che attrarla.
In questa casa nacque nel 1826 Carlo Lorenzini, detto il Collodi, padre di Pinocchio.
L’uomo dice che almeno il suo nome c’è in questa via di povera gente, a due passi dalla Firenze rinascimentale. Ospitava stalle, rimesse, servitù, dalla parte opposta ai palazzi dei ricchi. Lui è venuto al mondo in questo retrobottega, figlio di Domenico, cuoco dei marchesi Ginori e della cameriera Angiolina, bravissima nel taglio e cucito e con alle spalle studi da maestra. L’abitazione l’aveva messa a disposizione la famiglia Ginori, blasone di lungo corso, potente già con i Medici e i Lorena.
Scoprire le vite dietro quella targa è tra le ragioni del libro. Uno degli obiettivi che ha ispirato l’autore moderno è proprio incontrare il vero Carlo, oscurato dal suo pseudonimo e dal suo irresistibile Pinocchio. La coppia di anime ha preso il sopravvento - prepotente quella del nom de plume, coriacea come il legno quella del burattino - annullando l’identità dell’uomo, del giornalista, di Lorenzini, spesso censore severo ma con il sorriso e l’ironia anche sferzanti, la vena spiccata del motteggiatore toscano, dell’inventore ingegnoso di espressioni gergali irresistibili, argute, spiritose, alcune profonde. Se ne ritrovano tante nel testo di Ciampi, come un omaggio postumo, ampiamente meritato dall’eclettico “collega”, certamente un Maestro della lingua e un pedagogo tutt’altro che pedante.
Il babbo di Pinocchio
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