Gli anni perduti
- Autore: Vitaliano Brancati
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Italiana
“Gli anni perduti” rappresenta una svolta decisiva nella produzione letteraria di Vitaliano Brancati: abbandonata l’ideologia fascista che lo aveva affascinato negli anni giovanili, lo scrittore siciliano matura una nuova concezione della scrittura, quella che poi caratterizzerà tutte le sue successive opere e che lo porterà ad affermarsi come uno dei più significativi romanzieri italiani del Novecento.
In questo racconto sono già presenti in nuce tutti gli elementi che saranno poi sviluppati nelle opere mature (su tutte, il “Don Giovanni in Sicilia”): la pungente ironia, la visione disincantata ed amara della vicenda umana, la forza dirompente dell’eros e, soprattutto, la raffigurazione di un’umanità oziosa e dolente, immobile eppure alla ricerca di uno slancio propositivo che non arriverà mai.
A mio avviso si tratta di un romanzo corale, nel senso che non è possibile individuare un protagonista; l’opera pullula di personaggi indimenticabili (su tutti, Francesco Buscaino), ciascuno portatore di velleità artistiche o intellettuali, ognuno convinto di essere destinato ad opere memorabili che renderanno eterno il suo nome. Ma questi “spiriti attivi” si scontrano ogni giorno con l’invincibile apatia della loro città, Natàca (metaforica trasfigurazione di Catania), finendo per esserne assorbiti e sconfitti. Natàca è una città dove nulla accade, dove i giorni si somigliano tutti e non portano mai nulla di nuovo, dove l’occupazione principale è quella di trovare qualcosa da fare per la sera, nella speranza che arrivi presto l’ora di accomiatarsi, per liberarsi almeno per qualche ora del peso insostenibile dell’esistere. Gli abitanti di Natàca vivono i loro giorni alla ricerca di un senso, inseguendo imprese memorabili che non riescono mai a realizzare; eppure, pur essendo consci di questa vita inutile, non riescono ad andarsene, perché una forza irresistibile sembra legarli inesorabilmente a quella terra molle ed inoperosa. E quando finalmente si presenta l’occasione giusta per invertire la sorte, per arricchirsi e per tramandare il proprio nome ai posteri (la costruzione di una torre panoramica che impegni tutti i più alti cervelli della città), un intoppo burocratico frustra definitivamente ogni speranza, proprio quando l’obiettivo sembrava raggiunto.
Come sostenuto da Giulio Ferroni, ne “Gli anni perduti” il senso dell’inettitudine, che caratterizza gran parte della letteratura novecentesca, supera la dimensione prettamente individuale, diventando una condizione collettiva, permeando gli abitanti, le cose, le case e persino gli animali dell’immaginaria cittadina siciliana.
Ammonimento sull’inutilità del vivere inoperosamente, l’opera, fortemente ironica ed a tratti anche divertente, ha tuttavia un incedere inesorabile, svelando il dramma della perdita della giovinezza. Vitaliano Brancati supera definitivamente il superomismo e il vitalismo dannunziano che aveva caratterizzato le sue primissime opere e si avvia verso una nuova fruttuosa stagione letteraria.
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