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Gli Zuavi pontifici e i loro nemici di Francesco Maurizio Di Giovine

Edizioni Solfanelli, 2020 – L’esercito del papa, diecimila volontari in vent’anni, soprattutto tra il 1860 e il 1870, di origini spesso nobili e in genere di buona nascita, arruolati al servizio del pontefice per una nona crociata.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 07-04-2021
Gli Zuavi pontifici e i loro nemici

Gli Zuavi pontifici e i loro nemici

  • Autore: Francesco Maurizio Di Giovine
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2020

I soldati del papa, non gli alabardieri dei cantoni cattolici svizzeri, ma i fucilieri che dalla fine degli anni Quaranta del 1800 alla breccia di Porta Pia nel 1870 difesero in armi il vacillante potere temporale della Chiesa. Leggiamo di questi giovani di tanti Paesi in un ampio volume, Gli Zuavi pontifici e i loro nemici, pubblicato nel luglio 2020 dalla casa editrice chietina Solfanelli (363 pagine), a cura di Francesco Maurizio Di Giovine. Originario di Lucera, in provincia di Foggia e residente a Bologna, è un esperto di storia borbonica e dottrina politica del Carlismo spagnolo. Si avvale in questo lavoro della prefazione di Sisto Enrico di Borbone-Parma, discendente dal Ducato e pretendente al trono di Spagna per la Comunione carlista.

Nel complesso, per consistenza numerica si sono arruolati quasi diecimila uomini in tutto il periodo — alla vigilia della riunificazione di Roma erano 3200 unità — volontari provenienti da 25 nazioni d’Europa e oltre, in gran parte olandesi, francesi e belgi, ma anche svizzeri, tedeschi, italiani, canadesi, americani, perfino un cinese. Di origini spesso nobili e in genere di buona nascita, entravano al servizio del pontefice per partecipare a una nuova, nona crociata.
Il saggio tiene conto della storia degli Zuavi del papa che si deve all’ufficiale alpino e storico militare italiano, Attilio Vigevano (1874-1927). Al ritorno di Pio IX da Gaeta, dopo la parentesi della Repubblica Romana, mazziniana e aconfessionale del 1849, ci si convinse oltretevere della necessità di organizzare un esercito per difendere la Santa Sede dagli attacchi, tanto dall’esterno che nel territorio stesso dello Stato della Chiesa. Dopo avere battuto i rivoluzionari liberali e riportato il pontefice sul seggio di Pietro, l’imperatore francese Napoleone III aveva lasciato a Roma un proprio contingente militare, ma ufficiali e uomini rispondevano a Parigi, non al Vaticano.

Nello studio monumentale del 1920, il colonnello Vigevano ha distinto in quattro fasi la stagione dell’esercito di Pio IX, tra l’agosto 1948 e il 20 settembre 1870.
La prima cominciò col ristabilimento del governo pontificio, nella forma di un triunvirato cardinalizio e si protrasse fino alla primavera 1860, con compiti essenzialmente di milizia atta a mantenere l’ordine interno.
La seconda, breve ma intensa e guerreggiata, coincise con l’operato di un nuovo comandante, il generale de La Moricière, impegnato dall’aprile 1860 a formare una compagine pronta a entrare in guerra e si esaurì con la caduta di Ancona, il 29 settembre 1860, ultima roccaforte papalina fuori del Lazio.
La terza fase si prolungò fino al dicembre 1865, quando si diede attuazione alla convenzione del settembre 1864 tra il Regno d’Italia e l’imperatore transalpino, che concordavano il ritiro dei reparti francesi da Roma entro due anni. Permanendo queste truppe, l’organizzazione militare papalina si limitava a mantenere l’ordine interno, a marciare in parata e a funzioni di rappresentanza e di cerimoniale religioso.
La quarta fase coincise con “i primi sintomi della fine”, nell’agosto 1870, caratterizzata dall’esigenza di integrare le due necessità, militare esterna e di sicurezza interna, quindi anche di sostenere una guerra contro un aggressore.
Nell’economia del lavoro del Di Giovine, l’attenzione si rivolge in particolare al raggruppamento di volontari che si riconobbe nel nome di Zuavi pontifici e alla seconda fase, dall’insediamento del La Moricière alla resa di Ancona.

In precedenza, un embrione di esercito pontificio, lasciato “in una sorta di letargo” dal cardinale segretario di Stato Antonelli, aveva assistito impotente alla guerra franco-piemontese all’Austria del 1859, alla conseguente annessione al Piemonte delle Legazioni pontificie della Romagna e alla crescente attività sovversiva dei comitati segreti filo italiani. A quel punto, il Vaticano si era reso conto che la sopravvivenza dello Stato Romano risultava seriamente minacciata, visto che il sostegno austriaco diventava più difficile e quello della Francia liberaleggiante si faceva sempre più freddo. Corse al riparo e tentò di preparare un esercito in grado di affrontare una guerra.

Nella nascita della nuova armata svolse un ruolo determinante un prelato belga di nobile famiglia, mons. De Merode, cameriere segreto del papa. Promosso pro-ministro delle armi pontificie e convinto della necessità della difesa militare a oltranza dello Stato della Chiesa, lanciò un appello alla Cristianità. Venne letto nei primi giorni del 1860 in ogni diocesi del mondo e lo rese l’anima, se non il capo, di un grande movimento di reazione cattolica. Furono aperte sottoscrizioni in tutte le parrocchie e raccolto un tesoro di guerra, per provvedere ai bisogni dell’armata che si andava costituendo con i giovani cattolici che affluivano negli uffici di reclutamento delle principali Nunziature.

L’autore esalta le motivazioni morali, il valore e l’eroismo dei Tiragliatori prima e Zuavi poi, oggetto di attentati e agguati a Roma, contro soldati isolati. Erano disprezzati dal nemico. Uno dei comandanti dell’esercito piemontese, il generale Cialdini, li bollò in un proclama come una “masnada d’ubriachi stranieri, compri sicari”. Affermazione ispirata da un fortissimo pregiudizio ideologico.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli Zuavi pontifici e i loro nemici

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