Giornate tranquille
- Autore: Lizzie Doron
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Giuntina
- Anno di pubblicazione: 2010
Bisogna ringraziare di cuore coloro che, in Israele, hanno dato vita al progetto Radici: affidare ad ogni studente degli istituti superiori una ricerca sulle origini della propria famiglia, affinché i giovani si impadroniscano della loro storia e memoria. Com’è ormai noto, fu grazie a questa circostanza -e alle insistenze della figlia, desiderosa di riportare un buon voto nell’elaborato- che, anni fa, Lizzie Doron iniziò l’indagine sulle vicende della madre Helena, sopravvissuta alla Shoah, indi approdata in Israele, morta nell’autunno 1990, della cui vita passata ella conosceva ben poco.
Tale indagine coinvolse al punto Lizzie, la quale, dapprima chiese un periodo di congedo dall’Università, dov’era impegnata col dottorato in Scienze cognitive, indi si appassionò tanto da tradire, in definitiva, l’Accademia per la Letteratura. Da tale “tradimento” nacquero "Perché non sei venuta prima della guerra?" e "C’era una volta una famiglia", stupendi affreschi del complesso universo di coloro che hanno vissuto la tragedia della Shoah e ne sono ritornati; romanzi amati da pubblico e critica internazionali e gratificati con importanti riconoscimenti. Ora, dopo i primi due, la Casa Editrice Giuntina pubblica la terza opera, Giornate tranquille, uscita in Israele nel 2003, dedicata, significativamente, a “Coloro di cui nessuno si ricorderà”. Al centro della storia è un negozio di parrucchiere, situato in un quartiere di Tel Aviv, abitato per lo più da sopravvissuti della Shoah, dove l’Autrice ha trascorso, con la madre, l’infanzia e la prima giovinezza. Era in quel negozio che la piccola Lizzie si recava ogni giorno, dopo la scuola, sopportando il puzzo di acetone o di lacca per capelli, per ascoltare le storie delle clienti narrate in una babele di lingue: yiddish, tedesco, polacco… storie narrate in maniera, per così dire, incrociata: ciascuna vicenda usciva dalla bocca non di un certo personaggio, ma quello dell’amica (o amico), le cui vicissitudini erano raccontate da un’altra persona ancora, in un girotondo infinito. Il parrucchiere Zaytshik, la manicurista Lèale (sofferta voce narrante del romanzo), la colta Rosa, il Dottor Wollman, il dolore, l’ironia, gli incubi notturni… un universo l’amore nei confronti del quale la scrittrice ha compreso appieno solo quando, circa un trentennio dopo, ha iniziato a scriverne. L’opera dev’essere letta con calma, senza lasciarsi fuorviare dall’apparente semplicità espressiva, e ti dispiace quando l’hai terminato; vorresti che continuasse. Il caldo trasporto nella narrazione si sposa ad una tenera ironia in alcuni passaggi in sé drammatici, come il terrore suscitato dall’apparizione improvvisa -in quel quartiere di Tel Aviv!- di un uomo sconosciuto, dai capelli biondi e dalla bella voce, ma di lingua tedesca, alla ricerca di….
Il romanzo tocca tutte le cifre espressive e gli aggettivi non bastano a definirlo: inatteso, a volte folle, in grado di immaginare per una vicenda finali diversi; non vi è infatti una vera e propria trama, né una conclusione. I ricordi, le esperienze della protagonista e delle persone a lei vicine si mescolano nella fatica e nel dolore quotidiani, in un alternarsi tra ansia di annientamento e insopprimibile desiderio di vita, di lancinanti ricordi e visioni della persona amata.
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