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Recensioni di libri

Febbre di Ling Ma

Codice, 2019 - “Febbre” si distanzia efficacemente dalle stereotipie del genere apocalittico, approdando alle coordinate di un romanzo acuto, autorevole nella denuncia dell’alienazione.

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 28-03-2020

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Febbre

Febbre

  • Autore: Ling Ma
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Anno di pubblicazione: 2019

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Di morti ambulanti in scenari metropolitani da apocalisse zombi abbiamo perso il conto. È con i primi due film di George Romero che il discorso del genere diventa simbolico, caricandosi di attributi sociali: i dead man walking come propaggine di una subumanità alienata, ossessionata dal consumo (carne umana, compresa). Non è un caso che Zombi si svolge per tre quarti all’interno di un mastodontico ipermercato, e che i revenant sono dimentichi di tutto tranne che dell’incidenza che quel non-luogo (vetero-tempio laico di bisogni indotti) aveva su di loro.

Febbre (Codice, 2019, traduzione di A. Mioni), stratificata distopia della cinese americana Ling Ma, mi riconduce a riflessioni analoghe. E non solo in quanto la “Struttura” (un enorme ipermercato) assurge a terra promessa per alcuni sopravvissuti alla “febbre di Shen”, che ha decimato il mondo, ma anche in quanto la catastrofe si diffonde sullo sfondo dell’obnubilamento collettivo, quello di una popolazione alienata dal guadagno e dai brand.

Nemmeno l’anti-eroina del romanzo, Candace Chen, sfugge all’andazzo, distratta dalla carriera al punto da relativizzare la portata della “caduta” di New York (negozi e case abbandonate, contagiati, sopravvissuti dediti ai raid) per buona parte del romanzo. Orfana di due immigrati cinesi che le hanno inculcato il valore della stabilità economica, fedele al nuovo ruolo (peraltro assai ben remunerato) ricoperto in azienda, porta avanti le sue mansioni anche contro ogni evidenza. Fin quasi alla fine, quando si unisce a un gruppo di superstiti deciso a rifondare una nuova società, ma deve fare i conti con la propensione ferina che, sotto una parvenza di pietas simil-religiosa, infetta il leader.

“Mi alzavo. Andavo a lavorare al mattino. Salivo sul bus navetta e guardavo le strade deserte, i binari della metropolitana inutilizzati sul Williamsburg Bridge. Il primo autobus mi portava a Canal Street, dove facevo il trasbordo su un’altra navetta diretta a nord, a Times Square. C’erano cinque o sei pendolari su ogni navetta, con mascherine alla moda assortite, tutte nere o leopardate o con il logo Supreme. Sembrava che le mascherine precludessero qualsiasi conversazione. Seduta vicino al finestrino, ascoltavo musica sull’iPhone, un mix degli anni Novanta con canzoni dolci e tristi che mi aveva mandato Jonathan prima di partire. Pavement, The Innocence Mission, Smashing Pumpkins. Passeggiavo per le strade silenziose e compravo una tazza di caffè dal venditore ambulante sulla Broadway. Mi accoglieva la lobby vuota. Premevo il pulsante e aspettavo l’unico ascensore che ora serviva tutto il palazzo. Sorseggiavo il caffè e di riflesso davo un’occhiata al bancone della portineria di Manny. Lui era sparito da tempo. Al suo posto c’erano telecamere di sicurezza extra, montate in ogni angolo del soffitto della hall. Qualcuno le controllava ancora. Mi era sembrato che l’ascensore impiegasse più tempo del solito per arrivare, quella mattina, ma d’altra parte sembrava che tutto richiedesse più tempo. New York funzionava a un ritmo diverso. Il servizio di bus navetta era sporadico, per non dire altro. Avevo cominciato a comprare le provviste per la casa su Amazon, ma i pacchi, che contenevano di tutto, dalle batterie al deodorante, impiegavano almeno due settimane ad arrivare, che il corriere fosse FedEx o UPS o le Poste o DHL. Fare una spesa veloce al negozietto di quartiere più vicino significava percorrere cinque chilometri. Chiudevano tutti, uno dopo l’altro”.

Evito di ricondurre tanta puntualità descrittiva agli scenari urbani degli ultimi mesi. Ribadisco piuttosto che, attraverso la voce psicologicamente attendibile di Candace, Febbre si distanzia efficacemente dalle stereotipie del genere apocalittico, approdando alle coordinate di un romanzo acuto, diogeniano sotto-traccia, ben scritto e altrettanto ben congegnato. Autorevole nella denuncia dell’alienazione che ci irretisce in massa, pedissequi alle leggi di mercato: immigrati, zombi, dirigenti e lavoratori, contagiati, e contagiati potenziali. Finché un microrganismo da niente (spore fungino o coronavirus che sia) non ci restituisce alla precarietà di un’esistenza anaffettiva e artificiale e al nostro heideggeriano essere per la morte. Edito da Codice Edizioni e tradotto da Anna Mioni, Febbre è un romanzo d’esordio imponente, che non si dimentica.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Febbre

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