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Storia della letteratura

Epidemie: le conseguenze sui rapporti umani in 7 libri

Fin dalle origini, la letteratura ha descritto e indagato le più grandi epidemie che hanno sconvolto l'umanità e le loro conseguenze sui rapporti umani e sociali. Come hanno affrontato l'argomento gli scrittori del passato? Ecco 7 libri da leggere.

Eleonora Daniel
Eleonora Daniel Pubblicato il 24-02-2020
Epidemie: le conseguenze sui rapporti umani in 7 libri

Mentre l’allarmismo per il Coronavirus raggiunge picchi sempre più alti, tra supermercati saccheggiati e spostamenti bloccati, c’è chi, ironizzando, suggerisce di salvarsi frequentando posti poco affollati... le librerie.
Eppure avvicinarsi ai libri, in particolare quelli in cui scrittori del passato hanno analizzato i fenomeni legati a epidemie, allarmismo e fobie sociali derivanti, potrebbe non essere un’idea sbagliata, soprattutto per affrontare la paura e non sfociare nel terrore incontrollato.

Ecco sette grandi libri da tenere a mente, non per calcare la mano sul tema allarmismo da Coronavirus, ma per ricordare quanto la letteratura ha da insegnarci: dal De rerum natura di Lucrezio fino a oggi, quanto inquieta narratori e lettori non è la malattia, ma la follia che questa può generare nei rapporti sociali.

Decameron, Giovanni Boccaccio

Decameron
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Il nostro elenco non poteva partire che dal Decameron e dal suo “orrido cominciamento”. L’opera, scritta a metà Trecento, si apre ricordando la terribile peste che nel 1348 sconvolse Firenze e l’Europa intera. Proprio per sfuggire al morbo che dilaga in città e salvarsi dal contagio, sette ragazze e tre ragazzi decidono di riunirsi nel contado fiorentino e passare il tempo raccontandosi una novella ciascuno, secondo diversi temi.
Nell’introduzione all’opera, Boccaccio si sofferma a descrivere la peste che devasta Firenze. Ne descrive i sintomi, l’impossibilità di trovare una cura, ma, soprattutto, si sofferma su quello che è il più grave risvolto della malattia: il degrado morale e sociale che ha portato con sé. Qualsiasi rapporto civile è ormai inesistente, persino i rapporti di sangue vengono totalmente stravolti e trascurati:

“e che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.”

I dieci ragazzi, dunque, non sfuggono alla città solo per salvarsi dal contagio, ma per creare un microcosmo alternativo in cui ripristinare un modello di società, ispirato a razionalità e cortesia, ricordando ai lettori che:

“a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la sua ragione”.

I promessi sposi, Alessandro Manzoni

I promessi sposi-Storia della colonna infame
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Altro storico caposaldo della letteratura italiana sono I promessi sposi, i cui capitoli XXXI e XXXII contengono la notissima digressione storica sulla peste di Milano del 1630. Manzoni si presenta in queste pagine nella sua veste di studioso e storico, cita numerose fonti e ricostruisce passo per passo la storia della malattia.
Complici una lunga carestia e le rovinose guerre di successione nel ducato di Mantova, Milano si trova estremamente debilitata e del tutto impreparata a resistere al passaggio dei lanzichenecchi e al batterio che essi trascinano con sé.
Alla debolezza cittadina si sommano, però, l’incapacità delle autorità di cogliere la gravità della situazione e adottare le misure necessarie, e la più totale confusione dei medici. Insomma, la peste non è peste, poi è febbre pestilenziale, poi quando è peste non si trasmette per contatto e, anzi, si cerca d’arginarla con processioni che ne favoriscono il dilagare.
Ancora una volta, a inquietare autore e lettore, è la psicosi collettiva, che si manifesta tramite la caccia agli untori, con linciaggi collettivi, reclusioni ingiustificate e confessioni sotto tortura (Manzoni tratterà di queste vicende anche in Storia della colonna infame), e la follia di studi parascientifici che ne confermano l’esistenza (uno di questi ricollega la peste e i poteri degli untori persino a due comete apparse nel 1628 e nel 1630).

Diario dell’anno della peste, Daniel Defoe

Diario dell'anno della peste
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Diario dell’anno della peste (o La peste di Londra) è stato pubblicato anonimo nel 1722 e presenta le memorie autobiografiche del personaggio di finzione H. F. durante la peste di Londra del 1665. Significativo il titolo-sommario originario dell’opera, che recita:

“Written by a Citizen who continued all the while in London”.

Lo stesso Defoe, ancora bambino, assiste alla devastazione causata dal morbo in città e, da adulto, indaga il rapporto tra malattia e condizione sociale.
Se la causa del male, in conformità ai precetti puritani, veniva considerata dalla maggior parte degli inglesi come punizione divina, le sue conseguenze hanno tutte a che fare con un’umanità psicotica e disperata, in cui i primi a morire sono gli indigenti e l’isolamento imposto dai provvedimenti legali non fa altro che amplificare il caos: c’è chi, in preda a dolori atroci, si suicida gettandosi dalle finestre delle abitazioni in cui è rinchiuso e chi, per fuggire, arriva a uccidere i propri sorveglianti.

La peste scarlatta, Jack London

La peste scarlatta
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Jack London, nel 1912, immagina un’epidemia di peste che, a un secolo di distanza, devasterà il pianeta. Ancora una volta, la malattia scatenerà l’irrazionalità e la follia umana: intere città verranno date alle fiamme nella speranza di sfuggire al contagio, le persone elimineranno qualsiasi rapporto sociale, le case ormai vuote saranno depredate.
Le circa quaranta persone superstiti si troveranno a vagare in un mondo deserto, costrette a fare i conti tanto con la natura di nuovo selvaggia, quanto con un’umanità regredita e alla deriva, anch’essa ormai inselvatichita e feroce. Dopo essersi cercate a lungo, si ritroveranno per porre le nuove fondamenta per l’umanità, con la consapevole disillusione che, in questo risorgere, non c’è ottimismo: per ogni nuova rinascita, ci sarà una nuova estinzione.

La peste, Albert Camus

La peste
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Diversa è la peste intorno a cui ruota l’omonimo romanzo di Albert Camus. Il morbo, che trae radici dall’autobiografia dell’autore (a cui, già in gioventù, era stata diagnosticata la tubercolosi) e dalla situazione storica contingente (si è appena conclusa la seconda guerra mondiale, la malattia che ha travolto l’umanità), trascende in realtà la contingenza storica e si innesta nel dibattito tra medicina e religione, tra spirito critico e di ricerca e speculazione dogmatica, condotto dal medico ateo Bernard Rieux e dal gesuita Paneloux.
Com’è possibile conciliare fede ed esistenza del male? Come possono morire dei bambini innocenti?
Se da un lato non può che constatare l’ineluttabile gratuità del male, Camus offre a tutti i suoi lettori un compromesso, una soluzione temporanea: la dignità umana si rivela proprio nella lotta all’incomprensibilità del male e nel dovere di essere solidale.

Cecità, José Saramago

Cecità
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La cecità si trasforma in morbo: che i protagonisti del libro Cecità siano vittime di contagio o semplicemente di una imperscrutabile condanna non cambia il risultato. L’umanità dipinta dal premio Nobel José Saramago è un’umanità che ha scelto l’indifferenza come chiave di lettura del mondo e l’ha portata al suo termine ultimo, la violenza.

"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono."

Non è certo un caso, allora, né una scelta sperimentalistica fine a se stessa, che i personaggi del romanzo non abbiano nomi propri: perdere la solidarietà, perdere l’altro, comporta anche la perdita di sé.

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Dissipatio H.G., Guido Morselli

Dissipatio H. G.
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Dissipatio H.G. non parla esattamente di un’epidemia, lo sappiamo, né si può parlare davvero di rapporti umani, considerato che l’intero genere umano, nelle pagine di Morselli, evapora all’improvviso. Eppure, anche questo romanzo può dirci qualcosa sulla pandemia e sulla quarantena, e il confronto arriva direttamente dalla rivista americana The New Yorker:

“Ogni fase della quarantena sembra essere rappresentata in questo breve romanzo”.

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