Si celebra oggi il centenario della nascita dello scrittore portoghese, José Saramago, insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 1998.
Per l’occasione sono disponibili in libreria Le lezioni italiane (La Nuova Frontiera, 2022) che contengono un’inedita autobiografia scritta dall’autore di suo pugno, che ci permette di riudirne la voce mentre rievoca ogni tappa della sua esistenza in una specie di memoriale:
Sono nato in una famiglia di contadini senza terra, ad Azinhaga, un piccolo villaggio nella provincia del Ribatejo, sulla sponda destra del fiume Almonda, un centinaio di chilometri a nordest di Lisbona.
Per i 100 anni dalla nascita di José Saramago riscopriamo il suo capolavoro Cecità, uno dei libri più letti degli ultimi anni, soprattutto in tempo di pandemia.
Saramago: la vita di uno scrittore
José Saramago nacque a Ribatejo nel comune di Azinhaga, in Portogallo, il 16 novembre 1922.
La sua prima gioventù fu piuttosto avventurosa: si trasferì con la famiglia nella capitale, Lisbona, dove frequentò le scuole in modo discontinuo e interruppe gli studi universitari a causa di problemi economici.
Per mantenersi Saramago fece i lavori più disparati, dal fabbro al disegnatore, e proprio questa sua poliedricità si riflette in qualche modo nella sua scrittura divenendone la caratteristica distintiva. José Saramago è stato uno dei pensatori più illuminati del XX secolo, ma la sua non fu propriamente l’esistenza di un intellettuale.
Lo scrittore portoghese trasse in primo luogo il suo sapere dalla gente, dal lavoro manuale e dall’esperienza diretta della vita. L’affermarsi della sua carriera in campo editoriale fu un percorso lungo e accidentato.
Saramago iniziò infatti a lavorare come correttore di bozze e traduttore, per poi diventare direttore letterario e di produzione di una casa editrice. Pubblicò il suo primo romanzo, La terra del peccato, nel 1947 ma non riscosse molto successo. Nel frattempo lo scrittore divenne sempre più attivo nella vita politica portoghese, iscrivendosi al Partito Comunista. La partecipazione politica fu per Saramago sempre inscindibile dall’ispirazione letteraria: la parola scritta per lui aveva una forte connotazione militante.
Negli anni Sessanta lo scrittore era considerato uno dei critici più seguiti del Portogallo: ai tempi i suoi articoli, pubblicati sul settimanale Seara Nova, facevano furore. Furono gli anni di maggior fermento per l’attività letteraria di Saramago: lavorava a tempo pieno come direttore editoriale di una casa editrice e scriveva per gli inserti di cultura dei più celebri quotidiani nazionali. Nel frattempo, a tempo perso, l’autore si dedicava alla sua grande passione: la letteratura, scrivendo raccolte di poesie e testi teatrali.
Il successo arrivò nel 1982 con la pubblicazione del romanzo Memoriale del convento.
Recensione del libro
Memoriale del convento
di José Saramago
Cecità e la vittoria del premio Nobel
Gli anni Novanta furono il periodo più prolifico per lo scrittore portoghese. Saramago venne consacrato sulla scena editoriale internazionale da romanzi che ottennero un grande riscontro di pubblico, come Storia dell’assedio di Lisbona (1989) e Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991).
Recensione del libro
Il vangelo secondo Gesù Cristo
di José Saramago
Ma è la scrittura di Cecità , opera considerata all’unanimità il suo capolavoro, che lo consacra nell’Olimpo della letteratura mondiale nel 1995.
Tre anni dopo José Saramago fu insignito del premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione:
"Grazie a parabole sostenute dall’immaginazione, la compassione e l’ironia, Saramago ricostruisce e rende tangibile una realtà difficile da afferrare".
Fu il primo autore di madrelingua portoghese della storia a ricevere l’ambito premio.
Saramago e l’attualità sconcertante di Cecità
Ensaio sobre a cegueira, letteralmente "Saggio sulla cecità", questo il titolo originale del romanzo-capolavoro di José Saramago. Un’opera visionaria che è tornata di stretta attualità in tempi pandemici.
Lo scrittore portoghese narrava infatti un’epidemia di cecità che colpiva la popolazione mondiale, riecheggiando La peste di Camus.
Nel libro Saramago si serviva della metafora della cecità per condannare la ristrettezza di vedute dell’uomo contemporaneo.
Penso che non siamo diventati ciechi. Penso che siamo ciechi. Ciechi che vedendo non vedono.
La conclusione del romanzo fu una delle frasi più citate durante il lockdown causato dalla pandemia di Covid-19. I lettori di tutto il mondo in quei momenti di drammatica incertezza ritrovarono nel romanzo di Saramago un monito, un avvertimento, ma anche una lettura imprescindibile del tempo presente. Tutto quanto accadeva nel mondo a causa della pandemia di Coronavirus sembrava essere in qualche modo previsto dallo scrittore portoghese: il paziente zero, l’assalto ai supermercati, la quarantena, la psicosi collettiva.
Recensione del libro
Cecità
di José Saramago
José Saramago venne considerato una sorta di veggente. Cecità andava a ruba nelle librerie, al pari della farina e del lievito nei supermercati.
Trattando il tema del contagio, un argomento caro alla letteratura, lo scrittore portoghese era riuscito a cogliere appieno la spersonalizzazione dell’essere umano che avviene in tempi di pandemia.
Cecità: una narrazione impersonale dell’epidemia
Non è un caso che nessuno dei personaggi di Cecità abbia un nome. L’autore si serve di uno stile personalissimo e originale che ricalca il disagio di "non vedere" persino nella semantica. Non c’è alcuna forma di punteggiatura nel romanzo, se non i punti fermi messi in chiusura delle frasi. I personaggi, inoltre, sono indicati tramite delle perifrasi che rimandano quasi agli epiteti dell’Iliade e dell’Odissea: abbiamo quindi "La ragazza dagli occhiali scuri"; "La moglie del medico"; "Il vecchio con la benda".
La cecità come condizione umana
L’epidemia spersonalizza, tramuta l’essere umano in un’entità astratta nel numero del contagio, come hanno dimostrato i bollettini Covid che venivano annunciati ogni giorno dai nostri telegiornali. In Cecità Saramago dà voce alla guerra per la sopravvivenza che conduce l’uomo contro l’uomo (Homo homini lupus, diceva un celebre filosofo), presto l’umanità retrocede a uno stadio quasi animalesco.
José Saramago parla della legge della sopraffazione, del male che è insensato e cieco e spesso non conosce ragioni.
La metafora della cecità infine appare come un’allegoria esistenziale. Non una menomazione fisica, ma una condizione umana "degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all’interno". Scrive Saramago:
"È di questa pasta che siamo fatti: metà di indifferenza e metà di cattiveria."
Non c’è lieto fine, non esiste assoluzione. Cecità narra una storia cruda e spiazzante, dove per i "buoni" non esiste salvezza.
Il capolavoro di José Saramago sarebbe rimasto un meraviglioso romanzo confinato al genere della letteratura distopica, se la pandemia di Covid-19 non l’avesse riportato in auge con spiazzante attualità. Ora a Saramago, più ancora che successivamente alla vittoria del premio Nobel, si attribuisce la capacità folgorante di saper leggere il presente.
Ma questa in verità è una caratteristica peculiare di cui sono dotati tutti i grandi scrittori; perché la Letteratura, quella vera, è sempre visionaria e non conosce limiti di spazio o di tempo. Riesce a riferire verità immortali che riguardano l’Umanità nella sua accezione più universale.
Ed è questo il debito più grande che abbiamo nei confronti di José Saramago, che oggi compirebbe 100 anni, di aver saputo leggere le sue parole come un monito quando ormai era troppo tardi. Di non aver saputo cogliere la verità insita nella finzione letteraria, di averla relegata a un gioco di pura invenzione, a un esercizio di stile, quando in realtà voleva parlare al profondo delle nostre coscienze e spingere i nostri occhi "a vedere".
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 100 anni di José Saramago, l’autore visionario di “Cecità”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri José Saramago Storia della letteratura
Lascia il tuo commento