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Recensioni di libri

Elogio dell’aberrazione e altre piccole infamie di Francesco Permunian

Ponte alle Grazie, 2022 - Francesco Permunian torna con un memoir molto diverso da quelli scritti finora da altri autori, attaccando tutto il sistema editoriale con le sue sconcezze e i riferimenti al Marchese De Sade. In realtà sembra trattarsi solamente di un bel gioco narrativo audace abilmente confezionato da Permunian.

Vincenzo Mazzaccaro
Vincenzo Mazzaccaro Pubblicato il 30-10-2022
Elogio dell'aberrazione e altre piccole infamie

Elogio dell’aberrazione e altre piccole infamie

  • Autore: Francesco Permunian
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Ponte alle Grazie
  • Anno di pubblicazione: 2022

Ogni volta che esce un libro di Francesco Permunian, alcuni lettori entrano in fibrillazione, perché non vedono l’ora di leggerlo; mentre altri senza nemmeno leggerlo e sfogliandolo soltanto in libreria, sono disgustati. Eppure nell’autore ci sono tanti di quei riferimenti di libri, di poesie, di saggi, di articoli di giornali, che la fama di scrittore "scandaloso" è diluita e perfino falsa e in ogni caso siamo un paese che quotidianamente, domeniche incluse, fa uscire 160 libri al giorno, che moltiplicati per i giorni dell’anno si fa fatica anche a credere al numero spropositato di nuove pubblicazioni. Perché almeno della metà non ne abbiamo contezza.

Tanto poi Permunian in un "Quasi prologo", come lo definisce, pare scusarsi dei suoi “demoni vociferanti” che possono macchiare il suo buon nome.

Sarà pure un memoir, ma ha la cadenza del romanzo breve, anche perché le gesta sono di un certo Tito Maria Imperiale, che lavora come giornalista su L’eco del Garda ed è sposato con la volubile Ofelia Del Pirón, entrambi dediti alla “coprofilia”, materia organica - scrive l’autore - che è di nostra esclusiva proprietà. E ci mancherebbe altro.

Quindi i coniugi fanno sesso impastati di cacca e piscio. Due eterni adolescenti, due Peter Pan scrive Permunian, senza che alle forze dell’ordine possa fregare qualcosa. Peggio andò al Marchese de Sade, che si fece più di vent’anni di galera. Dopo una sparata anticlericale che poi sembra il vero bersaglio da colpire, Ofelia tradisce il marito e scappa di casa con il proprietario di una ditta di spurghi condominiali.
Che poi Tito rimpiange la moglie, certo per quella loro libertà sessuale, ma anche perché non sa cucinare, è ipocondriaco e afflitto da meteoropatia cronica, che si manifesta con mal di testa e raffreddori.
Quindi il nostro personaggio si butta a capofitto nel lavoro e scopre che un certo Ondino Dell’Onda sta facendo una specie di docu-dramma intorno all’ultimo film di Pier Paolo Pasolini, ossia Salò e le 120 giornate di Sodoma.
L’intento è quello di semplificare un film complesso, che ai tempi fu capito solo da intellettuali, da persone colte e da cinefili, per giunta come era successo per tutti i film del poeta friulano, con la censura che si metteva in mezzo per tagliare, oppure per darne l’autorizzazione nelle sale cinematografiche.

Non andrei avanti con le osservazioni che Permunian fa per rendere quel film più appetibile, per le persone del nuovo millennio, ma è bene ricordare che all’interno del libro ci sono due ritratti di Pasolini: uno mentre Pier Paolo sta in piedi accanto alla sua macchina e l’altro è un primo piano, solo la testa di Pasolini, dopo che la macchina gli passò sopra, anche sul volto, in quella atroce notte del 2 novembre del 1975.
Sono entrambi di grande potenza evocativa, del pittore Luca Del Baldo. Va poi sottolineato che il regista Pasolini non girò il suo film nei pressi del Garda e della cittadina di Salò, ma le riprese degli esterni sono da ricercarsi a Bologna e nell’Alto Mantovano.

Fu fatto un regolare casting, con un comunicato stampa scritto da Imperiale, che assicura il gettone di presenza più la diaria giornaliera e le giornate in hotel, totalmente gratuite. Se chi scrive si è soffermato su una cosa di poco conto, nell’economia del libro, è perché le persone che hanno partecipato al casting venendo dalle cittadine del Garda o da Salò, arrivano all’appuntamento con una paccottiglia che fa orrore, come cimeli nazisti o piccoli oggetti usati dai ministri del dittatore tedesco (in realtà Hitler era austriaco) che ha reso inevitabile la Seconda guerra mondiale.

In realtà, Permunian e Imperiale sono simili, quando si parla di scrittori e poeti incensati dalla critica. Ad esempio quando il personaggio del giornalista va a Milano per ritirare l’Ambrogino d’oro e durante il tragitto legge alcune frasi di Valentino Zeichen, scomparso nel 2016, che ha vissuto una parte della sua vita in estrema povertà, riuscendo a mangiare in un ristorante o in una pizzeria perché pieno di amici che gli pagavano il conto e gli davano un po’ di soldi per riuscire a farcela ancora un mese, Imperiale scrive:

Inutile girare il coltello nella piaga, io sono un fallito!

Ed è una ferita che col passare degli anni, invece di rimarginarsi, è via via degenerata per trasformarsi in una sorta di cancro. Un micidiale cancro della psiche che sta alla base di “tutte le mie stranezze in ambito sessuale e sentimentale”.
E continua scrivendo che fa parte di quella sterminata famiglia di scrittori nevrotici e istrionici che popolano il Bel Paese.

A questo punto poco importa, al netto di fantasie o di travisamenti di identità, qual è la preponderante tra memoir e racconto inventato. Anche la trascrizione fedelissima di fatti della tua vita, una volta scritta, è Letteratura, buona o cattiva, che sia.
E stranamente lo stile di Permunian è elegantissimo, tenero, irriverente, anticlericale ma senza esagerazioni vistose, divertente.
E quindi anche “l’elogio dell’aberrazione” è un titolo fuorviante.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Elogio dell’aberrazione e altre piccole infamie

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