El Alamein tra sabbia e vento: Giuseppe Degrada Divisione Folgore
- Autore: Giovanni Gardani e Giuseppe Boles
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2022
“Si muore soltanto quando si è stanchi di vivere”: non ce l’ha fatta Giuseppe Degrada a toccare il traguardo dei cento anni, che contava di raggiungere facendo affidamento sulla tempra forte fin da bambino.
Se n’è andato il 2 febbraio 2020 il protagonista del libro El Alamein tra sabbia e vento: Giuseppe Degrada Divisione Folgore (Mursia editore, Milano, aprile 2022, con inserto di 12 pagine di foto in bianco e nero).
Ha lasciato negli autori Giovanni Gardani e Giuseppe Boles il rimpianto di non essere riusciti a completare il volume in tempo per consegnarglielo.
Se non altro, però, il giornalista Gardani e lo scrittore performer Boles possono dire di aver fatto il massimo per rispettare l’identità, la personalità, il passato e la storia di Pino, nato De Grada nel 1921 in provincia di Pavia e diventato Degrada, tutto attaccato, per refusi recidivi sui documenti anagrafici. Possono dire di aver condiviso con lui lettura e rilettura delle bozze, in un confronto aperto ma sempre legato alla stretta realtà dei fatti.
Pino avrebbe cominciato da paracadutista anche prima della maggiore età di allora (21 anni) ed ha concluso segnando un primato personale. Il 30 giugno 2019, a 98 anni, il reduce dall’Africa settentrionale è stato tra i più anziani a lanciarsi con il paracadute, in coppia con un assistente, da 1500 metri di altezza, toccando terra dolcemente sull’aeroporto di Migliaro, alle porte di Cremona. Le prime parole una volta atterrato: “tra due anni lo farò ancora”.
Nella prefazione, il ventiquattresimo comandante della Folgore, generale di divisione Maurizio Fioravanti, offre un profilo del parà pavese.
Di leva a Cuneo nel 1941, Degrada viene “folgorato” dai manifesti che presentano la nuova specialità paracadutista, promettendo sfogo all’ardimento e alla voglia giovanile di spaccare il mondo. Non sa che quel materiale di propaganda è redatto da una futura firma epica del giornalismo sportivo, Gianni Brera. Ma non è ancora maggiorenne ed è obbligato ad attendere di diventarlo, per firmare l’arruolamento volontario nella Divisione Folgore.
Nel durissimo addestramento, come tutti i commilitoni è costretto a marciare giorno e notte con un pesante zaino affardellato. Cinquanta chili che dopo decine e decine di chilometri sembrano cinquecento. “Come amici-nemici s’arrivava addirittura a parlarci”. Non rischia di spezzarsi di certo Pino Degrada, la fatica può al massimo piegarlo, ma solo dopo avere infierito a lungo. Dandole una forma, trova un modo per esorcizzarla. La chiama “Alida”, come l’attrice italiana di origini dalmate, Alida Valli, di rara bellezza e presenza scenica, lo sguardo reso inconfondibile dagli occhi verdi. Si convince che se deve soffrire meglio farlo a causa di una splendida creatura, sebbene frutto della sua fantasia. Un compagno gli confessa d’invidiarlo, perchè quella “benedetta fatica” provoca soltanto sudore e male dappertutto, mentre Pino riusciva a trasformarla in una donna “e di quelle, gli occhi di un uomo non ne hanno mai abbastanza”.
Nessuno dei ragazzi nella camerata poteva vantarsi di avere una donna in carne e ossa.
Al massimo le si poteva comprare per una manciata di minuti, andando in certi posti.
Quante marce per Degrada e le altre reclute a Frascati e Tarquinia. Pioggia, sole, vento. Ma sono tutti volontari parà e non hanno paura di andare a combattere per la Patria. Però, quando in guerra si finisce davvero, ci si rende conto ch’è tutto sbagliato, che non c’è niente di bello nell’ammazzare ed essere ammazzati in mille modi crudeli. Per Pino, la parola guerra contiene tutto il dolore e la sofferenza che si vuole: si mangia la vita della povera gente.
Il fatto è che noi eravamo ancora puri. La guerra riuscivamo a vederla soltanto come qualcosa di grande, d’importante. Un’avventura da raccontare un giorno ai nostri figli e nipoti o prima ancora alla bella del paese per conquistarla.
Prima nessuno immaginava di affrontare di lì a poco qualcosa che li avrebbe segnati per sempre, lasciando cicatrici su tutti, anche chi è stato risparmiato dai proiettili. Tutti, seppure illesi, hanno vissuto le conseguenze dell’odio umano.
In guerra, nessuno mai arriva a dirsi più fortunato. Tutt’al più si può pregare d’essere meno sfortunati.
Nell’autunno 1942, Degrada combatte a El Alamein, nella parte meridionale del fronte egiziano. Risparmiato per varie circostanze, finisce prigioniero, detenuto in Palestina, guardato da sentinelle tra le quali alcuni soldati indiani dell’Impero inglese, con la pelle olivastra e il turbante, lui che l’India l’aveva vista solo in cartolina e spesso la scambiava per la Malesia del suo Salgari.
Subito dopo la cattura, il momento peggiore è stato la notte, per diverso tempo: otto in una tenda in un recinto di gabbie, una copertina ciascuno, che non si sapeva se mettere sopra il corpo per scaldarsi o sotto, per mitigare la durezza di qualche sasso sulla sabbia. L’escursione termica faceva scendere molto la temperatura notturna.
Non sapeva quanto era accaduto e accadeva nel complesso, dice di avere appreso i numeri molti anni dopo, anche stime contrastanti.
A El Alamein, della divisione Folgore rimasero vivi in trecento circa. Churchill li ha chiamati “leoni del deserto”, senza fare distinzione tra vivi e morti.
Anche se detto da un nemico, per Pino è sempre stata una medaglia al valore.
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