Diario
- Autore: Anne Frank
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
Anna Frank è una ragazza ebrea di tredici anni che nel 1942 è costretta a vivere in clandestinità ad Amsterdam per evitare la terribile deportazione nei campi di sterminio.
L’unico modo di esprimersi è quello di scrivere sul suo diario alla sua amica immaginaria Kitty. Scrive le sue difficoltà, le sue gioie, le sue antipatie, i primi amori, si apre completamente al “Diario” perché è convinta che nessuno lo leggerà mai.
Anna Frank descrive l’alloggio segreto dove vivrà nascosta per due anni e trenta giorni dal 12 giugno del 42 al 1 agosto 44 in compagnia del padre, della madre, della sorella, della famiglia Van Dam e di Albert Dussel (vero nome Fritz Pfeffer).
Anna descrive l’amore per il padre, le incomprensioni con la madre e la sorella Margot, la forte simpatia per Peter Van Dam che diventa poco a poco qualcosa di più, l’antipatia con la signora Van Dam e per Albert Dussel.
Anna è spesso triste per il forte desiderio di libertà e per l’orrore che la circonda ma ha grande speranza nel futuro e nel suo intimo è convinta della bontà dell’uomo.
Dopo più di due anni, quando ormai le sorti della guerra sembrano segnate a favore degli alleati, forse traditi da qualcuno, gli otto rifugiati vengono scoperti e arrestati.
Dopo essere passate da Auschwitz, le due sorelle arrivano al campo di Bergen-Belsen dove muoiono di tifo e di stenti tra fine febbraio ed inizio marzo del 1945, pochi giorni prima dell’arrivo degli inglesi.
Degli otto profughi nascosti nell’alloggio segreto si salva solo il padre di Anne, Otto Frank, che si impegna per tutto il resto della vita a divulgare il Diario.
Anna aveva annotato in francese sulla copertina del terzo quaderno manoscritto:
“Soit gentil et tiens courage” – Sii gentile ed abbi coraggio!
La vita di una ragazza, il suo diario. Quale cosa più naturale ci si può aspettare? Ma invece il contesto è unico, terribile ed incomprensibile! Prima le umiliazioni, i ghetti, le leggi razziali, poi i campi di concentramento, l’eccidio di massa, le camere a gas, i mucchi di corpi scheletrici...
Le emozioni e le sensazioni di una ragazza come potrebbe essere una nostra figlia, una nostra sorella. Emozioni che cercano di essere “normali” ma sono inevitabilmente stravolte dalle tragiche vicende di quei tristi giorni.
Il vivere nascosti e braccati senza una dignità e senza un lavoro è già di per sé terrificante ed agghiacciante, il dover dipendere da altri, il terrore di essere scoperti e di essere deportati per una fine che nessuno osa nominare ma che tutti immaginano nei loro peggiori incubi.
Anna Frank dimostra una forza d’animo sensazionale considerando la drammaticità dell’evento e la sua tenera età, soprattutto se la paragoniamo a noi, adulti di oggi, che ci abbattiamo per ogni piccola difficoltà.
Quale forza può avere il Diario malgrado la sua crudezza e la sua verità sconvolgente! E allora facciamolo leggere ai nostri figli con consapevolezza...
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Visitare il rifugio segreto di Anne Frank ad Amsterdam è un’esperienza sconvolgente anche per chi non ha letto questo libro e che, più che probabilmente, sarà spinto a farlo subito dopo. Il senso di soffocamento, di oppressione, trasmesso da quelle stanze piccole, da quelle scale strette e anguste, è lo stesso che urla da ogni pagina, da ogni parola che Anne ha vergato dapprima sul frivolo diario ricevuto in regalo prima dell’inizio della sua vita clandestina, poi su alcuni quaderni che anime gentili le hanno procurato per rendere più leggera la sua clausura, e anche in vista di un’eventuale pubblicazione di questo documento storico, come progettato dal governo, una volta finta l’oppressione tedesca. Purtroppo, come sappiamo, di Anne e degli altri sette occupanti del rifugio segreto, solo il padre è sopravvissuto, ed è stato lui a far pubblicare i diari della figlia, che hanno però subito innumerevoli rimaneggiamenti.
La vita di Anne e dei suoi compagni di sventura scorre piatta, in giorni quasi tutti uguali nei quali anche la minima banalità diventa un diversivo, un modo per distrarre la mente, per non morire di disperazione. Infatti, il lettore si stupisce subito di come, in una situazione così precaria, fra gli occupanti del rifugio possano scoppiare in continuazione contrasti e perfino liti furibonde per motivi del tutto futili e trascurabili. Si penserebbe quasi che la tragedia della guerra e la paura di essere, da un momento all’altro, scoperti e deportati, dovesse unire tutti gli occupanti in una sorta di solidale mutua tolleranza e spingerli a passare sopra i problemi e i contrasti quotidiani, ma non è così: anzi, i litigi scoppiano ancora più violenti. Certo, il vivere gomito a gomito per anni e anni, senza neppure le più banali comodità di base, può infiammare gli animi; ma soprattutto, in questo accapigliarsi per ogni minima assurdità, si legge un disperato bisogno di vita normale, di una vita nella quale ci si possa permettere di innervosirsi per un nonnulla, senza dovere continuamente pensare di essere ancora fortunati soltanto per il fatto di essere sempre in vita.
Anne parla sempre di sole, vento, aria aperta, e tutto ciò che desidera è una vita libera, per quanto piatta e banale. Anche il suo forte affetto per Peter, a ben vedere, molto probabilmente, in una situazione di vita ordinaria, non si sarebbe sviluppato fino al punto di essere sentito come un grande amore. Peter è per Anne il bisogno di vita affettiva, così come i suoi forti contrasti con i genitori e il suo continuo affermare di non amare la madre altro non sono che l’esasperazione di quella fase adolescenziale che neppure l’essere in pericolo di vita può fermare o reprimere, e che urla dentro di lei per affermare sé stessa.
Anne è un passerotto in gabbia, la cui storia purtroppo non ha avuto un lieto fine. Ma i suoi pensieri e la sua cronaca di vita quotidiana l’hanno, suo malgrado, elevata a simbolo dell’innocenza calpestata, del male prodotto da ogni discriminazione, del diritto di ogni essere umano alla vita e alla libertà.
Io questa estate sono stato a visitare Auschwitz e birkenau! Posso dire che è stata una delle giornate più brutte della mia vita, dopo aver visto e sentito dire dalla guida tutto quello che i tedeschi avevano fatto a quelle persone indifese. Ma la pelledoca mi è venuta quando ho visto i ragazzi ebrei che stavano cantando tutti in cerchio delle canzoni x le vittime dei campi di concentramento/sterminio! Tutte quelle persone hanno veramente passato i problemi più peggiori della vita! Non dimentichiamo mai tutto quello che è successo nelle guerre