Dalle rovine
- Autore: Luciano Funetta
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Tunué
- Anno di pubblicazione: 2015
Profuma di decadenza fin dalle prime pagine “Dalle rovine”, il cupo romanzo d’esordio di Luciano Funetta; un viaggio torbido e annichilente nella solitudine e nelle ossessioni di un mondo stanco e putrescente come i personaggi che lo popolano.
Nel sesso, si sà, ognuno ha le sue manie, piccole o grandi che siano: abitudini private che confessiamo, nel migliore dei casi, solo al partner di turno o agli amici più intimi. Rivera, il protagonista del romanzo, però, decide di fare il grande salto: accende la telecamera e realizza un video amatoriale con gli unici partner con cui, negli ultimi 15 anni, ha condiviso il suo scialbo appartamento nella periferia di una città spettrale e claustrofobica: i serpenti.
E’ un successo immediato, indiscusso, totale: Rivera è la nuova frontiera del porno, universo ambiguo quanto magnetico, che, dall’anonimato di un fumoso cinema amatoriale, gli fa varcare il confine di un territorio umbratile e inesplorato:
“«(...) L’erotismo è ciò che non conosciamo e che tentiamo di raggiungere con la fantasia e a costo di una profonda tristezza. Sa, quello del sesso è un mondo fatto di tristezza, anche se ci teniamo a non darlo troppo a vedere. (...)»”
A dirlo è un grande vecchio, un regista che perde la testa per Rivera e per i suoi silenzi, lo rende l’attore protagonista di un cortometraggio di successo, lo porta in trionfo a Barcellona, nel più acclamato festival del settore. Durante il viaggio, però, il gruppo incontra una figura enigmatica, quella di un fuggiasco insonne e allucinato, Alexandre Tapia, un reietto che vive nascosto e coltiva da anni un desiderio visionario: realizzare, con l’aiuto dei vecchi re del porno, un film di cui ha già pronta la sceneggiatura, un’opera definitiva e truce dal titolo "Dalle rovine".
E’ l’inizio di un maelström inarrestabile dove i sogni prendono spesso il posto della realtà e la mente dei protagonisti fa sempre più fatica a distinguere il ricordo dall’allucinazione; la posta in gioco è alta, il nuovo film guarda ancora oltre, mescola sesso e torture, messaggi cifrati e metafore del passato; forse è troppo anche per Birmania, lo storico produttore che, appena il gruppo fa ritorno dalla Catalogna, decide di farla finita.
Il luogo del suicidio, la villa del vecchio, diventa una prigione: Rivera vi trasferisce i suoi serpenti, per accudirli; chi la vita ancora la ama almeno un po’ pensa bene di darsela a gambe; si consuma un’altra morte - stavolta lenta come un supplizio - quella di un altro vecchio regista, di "un cinema delle solitudini" ormai agonizzante, un fratello rivale che insegue lo stesso, inarrivabile, sogno.
Un crescendo di allucinazioni, alimenta una spirale dove la morte tiene compagnia ai sospetti, ai ricordi sbiaditi e a immagini che ritornano dal passato e a loschi faccendieri degli snuff movie.
Nel finale aperto del libro Rivera, ritrova la splendida solitudine in cui l’avevamo incontrato all’inizio della storia: è la solitudine di un "eroe antico", fascinoso perché capace di uscire indenne da un ballo con i suoi serpenti, di fronteggiare il caos, il "fatto che non esiste un ordine":
“«Nessuno capisce (...) I cani capiscono. Gli uccelli che mangiano i corpi dei morti. E i serpenti, Rivera. Loro capiscono, tu lo sai. Dal giorno in cui il primo serpente scese strisciando dal monte Parnaso, i serpenti e le altre bestie che abitano l’oscurità sono destinate a capire e a morire, e muoiono per mano di coloro che vivono alla luce del sole. Il mondo è una guerra tra ciechi e abbagliati (...)»”
Parlando di un racconto di Kafka, Tapia, il più evanescente e spettrale dei personaggi, afferma che "l’immaginazione è braccata dalla morte" per questo, forse, desidera che l’opera d’arte che ha scritto, pur essendo arte, quindi "la cosa più stupida che fanno gli uomini", parli un linguaggio nuovo quello degli uomini delle caverne, che cacciavano e disegnavano sulle pareti delle grotte con gli stessi strumenti.
Il sogno che i personaggi di "Dalle rovine" inseguono affannosamente è la realizzazione di un film capace di fare i conti con gli anfratti più reconditi e bui della mente umana, con le sue ossessioni, i suoi incubi e le sue paure; un sogno blasfemo che, forse, rende il film impossibile da realizzare ma che, a ben guardare, si concretizza in questo libro disturbato e disturbante, capace di accarezzare allucinazioni e solitudini, perversioni e impulsi primordiali. Lo conferma, se di conferme ci fosse bisogno, oltre al titolo (che è il medesimo per il libro e per l’opera raccontata) anche l’anonima prima persona plurale della voce narrante, un noi che non abbandona mai Rivera: le sue ombre, o le sue stesse ossessioni, verrebbe da dire.
Non sorprende che la prima prova di Luciano Funetta, che ha già goduto del giusto riconoscimento arrivando tra i finalisti del Premio Strega di quest’anno, non sia rientrata nella cinquina finale; non di meno, lungi dall’essere uno sterile esercizio di stile, questo libro notturno e febbricitante merita una lettura attenta e meditata, fosse anche solo per le sensazioni con cui obbliga a fare i conti.
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