

Cronache del ’Diana’. Un antropologo dilettante in un cinema a luci rosse
- Autore: Vanessa Isoppo e Beppe Mecconi (a cura di)
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
C’erano una volta delle sale cinematografiche molto particolari, quando il consumo di pornografia non era favorito dal web, nell’intimità di casa, finanche del proprio letto. Occorreva raggiungere un locale pubblico ed esporsi agli sguardi dei passanti, non sia mai conoscenti, possibilmente riparandosi all’ingresso e all’uscita con ombrelli inclinati nel modo giusto o cappelli provvidenziali, come suggerisce l’autore anonimo di Cronache del ’Diana’. Un antropologo dilettante in un cinema a luci rosse. Un testo serissimo, composto, asettico, su quella fauna ormai démodé dei fruitori di prodotti cinematografici hardcore in sale dedicate, pubblicato da Oltre Edizioni di Sestri Levante, nella collana Letture dal mondo (settembre 2024, 144 pagine). Si tratta di un contenuto psicosociale, la confessione in prima persona di un frequentatore, un estensore colto, indubbiamente tutt’altro che dilettante. Vanta in aggiunta due curatori competenti, la psicoterapeuta Vanessa Isoppo e l’intellettuale e regista Beppe Mecconi, che hanno voluto ringraziare l’autore di queste pagine con una dedica, per avere fatto loro dono di un pezzo prezioso, intimo, del proprio percorso di vita.
Tutto è nato da una mail, girata alla dottoressa Isoppo dalla casa editrice ligure. Era stata inviata da uno spezzino e accompagnava un testo di cinquanta pagine. Raccontava vicende realmente accadute, legate a un cinema di La Spezia, tra il 1995 e il 2010, una microstoria intrecciata alla storia collettiva, a metà tra la psicologia e la topologia urbana. Messo da parte il fastidio provocato dal solo pensiero di un argomento ributtante come il cinema porno, la professionista della psiche si è resa rapidamente conto del significato di un contributo prezioso e ha voluto metterne a parte l’amico di lettere. Disorientato anche lui dall’argomento, ha superato presto le perplessità, colpito dalla vicenda descritta. A quel punto, è venuto naturale, scrivono, chiedersi non “se” ma “come” avrebbero potuto diffondere il racconto: cinquanta pagine, infatti, sembravano troppe per un racconto breve e poche per un libro. Renderlo un racconto è risultata la cosa più semplice e immediata da mettere in atto, richiedendo all’autore di fare nuovamente appello alla memoria, per aggiungere ulteriori episodi e nuovi particolari a quelli già descritti. Lo scrittore ha deciso di restare anonimo e tutti hanno rispettato la scelta: il tema è scabroso e potrebbe compromettere gli equilibri attuali, maturati col tempo. La necessità dell’anonimato, tuttavia “è la parte che più ha lasciato l’amaro in bocca”, se si considera che ogni aspetto di una sessualità condivisa tra adulti consenzienti non dovrebbe risultare qualcosa di cui vergognarsi. Ognuno deve avere la libertà di vivere la propria sessualità come crede, fermo restando l’assenso delle persone coinvolte.
Nell’introduzione, la psicoterapeuta non si limita a compiacersi del contributo alla pubblicazione del libro: ritiene di dover consegnare una medaglia simbolica alla delicatezza con cui l’autore affronta la pornografia, per lo più terreno di doppi sensi di pessimo gusto e di trivialità di qualunque tipo. Se è quello che “cercate, questo libro non fa per voi”. Un altro riconoscimento va assegnato alla scrittura, davvero pregevole per un’opera prima, e anche alla seria preparazione con cui l’anonimo affronta l’argomento, aggiungendo divagazioni storiche che denotano la voglia di approfondimento e
una sorta di allergia all’approssimazione che, in tempi in cui sembra regnare la superficialità, è da apprezzare senz’altro.
Mecconi ha firmato la postfazione, in cui osserva che la pornografia è un mondo ancora ai margini, poco trattato dalla letteratura o saggistica. Nei rari casi, il taglio oscilla dalla morbosità alla noia, secondo la categoria del libro. Questo invece è allo stesso tempo saggio e autobiografia, certamente né morboso né noioso.
Spicca la fauna dei frequentatori delle sale a luci rosse, ma trova molto spazio la storia di costume della liberazione dai lacci della censura e della convenzioni sociali bigotte: dagli anni Settanta del Novecento, nel mondo occidentale la diffusione del cinema porno ha rappresentato uno strumento di emancipazione sessuale.
Tutti d’accordo - maschi per primi - che il porno cinematografico, analogico o digitale, resti noiosa ginnastica sessuale rispetto al sensuale erotismo di un’elegante lingerie ben indossata. Del resto, concordiamo tutti - genere femminile compreso - che è difficile
capire cosa passasse per la mente di quella porzione di platea che restava a sedere, quelle statue dell’isola di Pasqua che davano l’impressione di guardare il film, non chiedevano e non parlavano.
L’autore anonimo arriva a pensare che probabilmente quegli individui non avessero interesse per i film e che fossero da un’altra parte con la testa, indifferenti agli stessi giochi di convivialità che si svolgevano attorno a loro. Non se ne lamentavano e non giudicavano, semplicemente non partecipavano, si limitavano a stare dentro, a passare due ore. Per scaricare la tensione, per dimenticare qualcosa. Alla fine, i film erano anche per loro soprattutto un pretesto. Si accontentavano dell’atmosfera, di respirarne gli umori.
Solo in qualche caso poteva giocare il desiderio di vivere un surrogato del sesso. Per il resto, in quella porzione di platea raggiungeva l’apice la tendenza a interpretare soggettivamente il porno, in cerca dell’oblio, per dimenticare tutto.
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