Carri armati della Grande Guerra 1916-1918
- Autore: Daniele Guglielmi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Non è un libro per tutti, visto il contenuto specialistico da appassionati e non è nemmeno un volume: somiglia a un fascicolo di un’enciclopedia sui mezzi corazzati, storia e modellismo, una raccolta proposta alla casa editrice fidentina Mattioli 1885. Il titolo è Carri armati della Grande Guerra 1916-1918, pubblicato nel gennaio 2020 a cura di Daniele Guglielmi e con le tavole a colori di Ruggero Calò. Metà del lavoro (80 pagine) è una galleria di immagini d’epoca e profili di carri di allora, in un testo bilingue, destinato ai mercati editoriali in lingua italiana e inglese.
Campeggia anche “Tanks in the Great War 1916-1918” sulla copertina di questo album illustratissimo in bianconero e quadricromia (29,5x21 cm), per la serie Tank Master Special, a cura di uno storico, scrittore ed esperto di modellismo.
La versione britannica è un tributo alla paternità di quelle macchine da guerra, messe in linea nel settembre 1916 dal Corpo di spedizione del Commonwealth in Francia, nel tormentato settore della Somme, per sbloccare la stasi provocata dalle trincee fortificate e protette da filo spinato, rese invalicabili sul fronte occidentale dalla prevalenza dei sistemi di difesa su quelli di offesa e dalla tenacia combattiva delle divisioni germaniche.
I Comandi inglesi pensarono di mettere in campo delle landships, navi da terra che montavano potenti cannoni navali. I piloti e serventi erano protetti da blindature di metallo, il movimento sul campo veniva assicurato da un motore a scoppio e dalla presa di cingoli sferraglianti sul suolo, per superare una terra di nessuno rotta e devastata dai cannoneggiamenti reciproci.
Vennero chiamati popolarmente tank (cisterne, per l’aspetto goffo della corazzature squadrate) e in questo lavoro sui primordi delle forze corazzate è suggestivo immaginare quei “serbatoi” avanzare lentamente contro le linee tedesche.
Il 15 settembre 1916, nella zona di Fleurs-Courcelette, si poté assistere allo sgomento iniziale del nemico, che vedeva inutili le raffiche di mitragliatrici, seguito dalla delusione e sacrificio delle truppe inglesi, una volta che i difensori ebbero superato la sorpresa. Dei 32 carri del modello iniziale Mark I, impiegati in un fronte di 8 chilometri, solo uno raggiunse l’obiettivo secondo i piani, aprendo una breccia e appoggiando l’avanzata delle fanterie. Tutti gli altri erano stati bloccati da avarie, da ostacoli insuperabili sul terreno e dal fuoco ben aggiustato delle artiglierie tedesche.
Un risultato deludente per i progetti britannici di uno sfondamento operato da quei pachidermi, esposti alle contromisure nemiche per la lentezza (7 km scarsi all’ora), la goffa capacità di spostamento e l’aspetto di veri dinosauri di metallo, antiquati sebbene appena nati e tutto sommato tanto appariscenti quanto inefficienti.
Eppure, nonostante quel mezzo risultasse più pericoloso per gli equipaggi che per il nemico - tanto che l’arruolamento nel Corpo dei carristi divenne presto obbligatorio, dopo essere stato dapprima volontario, poi fortemente sollecitato - aveva fatto la sua comparsa uno strumento bellico che avrebbe rivoluzionato le guerre a venire. Questo studio limitato ai primi modelli, premette Guglielmi, vuol essere un tributo a chi ha ideato, costruito e perfezionato questa straordinaria macchina da guerra, nonostante gli errori iniziali, i risultati deludenti, le pesanti perdite umane.
Estremamente pericoloso per chi vi montava in azione, il tank era molto apprezzato dalle fanterie di linea, che lo trovavano una risorsa efficace per risparmiare fatiche e pericoli mortali sul campo. Era pure estremamente costoso, molto più delle masse di fanteria spinte all’attacco a baionetta inastata, ma ci fu chi tenne duro e nonostante tutto ottenne di puntare comunque sul miglioramento di quell’arma.
Nell’estate 1917, carri Mark IV molto più protetti e armati con cannoni a canna corta entrarono in azione a Messines, sebbene l’efficacia risultasse limitata dall’averli sparpagliati in un ventaglio troppo ampio, volendoli fare agire come artiglieria mobile a sostegno delle fanterie. A metà novembre, nel settore di Cambrai, ben 480 Mark mossero insieme in un’avanzata molto simile a una lenta carica di cavalleria e sgominarono i tedeschi, sconvolgendo i reticolati, travolgendo la fanteria col numero, superando le linee e aprendo ai veri cavalleggeri le retrovie indifese.
Nel 1918, il modello Mark venne superato dal Whippet, sempre cingolato ma molto più leggero, maneggevole e tuttavia ben armato e protetto, con una sagoma più vicina a quella dei carri dei decenni successivi.
In Italia, le quote elevate del fronte carsico-carnico non consentirono alcuna possibilità di impiego, fino all’offensiva finale di Vittorio Veneto nelle pianure veneta e friulana. Quanto ai francesi, puntarono all’inizio sulle autoblindo-mitragliatrici, più agili e su ruote, ma del tutto inservibili davanti a un sistema di trincee.
I tedeschi, legati alla difesa statica e organizzata in profondità, non si impegnarono nella meccanizzazione blindata fino ai primi del 1918 e quando si decisero tirarono fuori un esemplare mastodontico, sull’esempio dei Mark inglesi: lo chiamarono Elfriede o sturmpanzer, un’altra nave di terra per portare artiglierie e mitragliatrici a ridosso del nemico. Fecero però tesoro della lezione e nei due decenni successivi elaborarono il concetto del “maglio corazzato”, alla base della futura blitzkrieg.
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