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Recensioni di libri

Caporetto. Una storia diversa di Claudio Razeto

Edizioni del Capricorno, 2017 – Un piccolo (per formato) grande libro (per contenuti e corredo fotografico) che rovescia la vulgata della disastrosa sconfitta, sostenuta soprattutto dagli italiani. Fu lezione salutare, appresa a caro prezzo.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 16-04-2021
Caporetto. Una storia diversa

Caporetto. Una storia diversa

  • Autore: Claudio Razeto
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2017

Riscriviamo una volta per tutte la storia di Caporetto. Piantiamola di flagellarci con la vulgata della più grave sconfitta militare d’ogni tempo. Non consentiamo a storici stranieri di contrabbandare ancora la bufala — facilmente smontabile, come si vedrà — della difesa del fronte italiano garantita dal sacrificio delle forze francesi e inglesi nella pianura veneta. Siamo grati al ricercatore Claudio Razeto, sempre a suo agio tra gli archivi e i documenti, per avere avviato una revisione della retorica della sconfitta avvilente. Suo il volume Caporetto una storia diversa, uscito nel 2017, a un secolo dagli eventi, per le Edizioni del Capricorno (Torino, 166 pagine).

Un piccolo (nel formato, 14x21,5 cm) ma grande libro, per contenuti, articolazione delle tesi, qualità e rarità dell’ampio corredo fotografico. E per il messaggio che diffonde: il nostro esercito le prese e tante, sbandò in parte, ma il grosso arretrò verso il Tagliamento e poi stabilizzò (da solo) la difesa sul Piave. Era stato sorpreso sul fronte sloveno, stanco e avvilito da undici sanguinose e poco redditizie “spallate” in ventotto mesi di guerra. Si ritirò di un centinaio di chilometri sul fiume sacro, perse materiali ingentissimi, lasciò in mano al nemico quasi 300mila prigionieri (“solo” diecimila i morti), ma tenne, a novembre, sulla nuova linea veneta e anche a metà giugno 1918, sul Monte Grappa, sul Montello e lungo il Piave. Alla fine di ottobre allestì l’offensiva di Vittorio Veneto e conseguì l’unica grande vittoria finale sul campo dell’intero conflitto mondiale. L’armistizio richiesto dall’Austria vide gli italiani in marcia verso Lubiana e Vienna, in territorio nemico. Quello con i germanici trovò l’Intesa ancora impantanata in territorio francese.

Se i nostri avevano battuto gli austriaci mettendoli in rotta, quando invece una settimana più aventi le ostilità cessarono sul fronte occidentale, alle ore 11, del giorno 11, dell’11esimo mese, i tedeschi stavano arretrando, ma non erano stati battuti.
E non lasciatevi fuorviare da chi sostiene che Vittorio Veneto sia stato un miracolo franco-britannico. Anche glissando sull’evidente sproporzione tra le 51 divisioni italiani e le 5 alleate (3 francesi, 2 inglesi), sono i caduti a testimoniare il peso e il prezzo dell’avanzata: 36mila italiani, 1830 transalpini, 588 Tommies, questo senza negare il generoso apporto delle truppe di quei Paesi.

D’altra parte, la falla aperta a Caporetto un anno prima era stata tappata dalle nostre stesse forze, pur strapazzate e ben prima che potessero entrare in linea i reparti anglo-francesi, tenuti prudenzialmente al sicuro in Lombardia, per non essere travolti dall’avanzata austro-tedesca.
Eppure, una fake new circolata più tra noi e i nostri alleati che presso il nemico, ci vuole soltanto vili, incapaci di reagire e “nell’impossibilità di compiere un’azione efficace per tutto il resto della guerra”. Lo statista inglese Lloyd George lo ha scritto addirittura nelle memorie. Contro il parere un tanto al metro di mister David, Razeto e altri autori, come lo sporico Alessandro Barbero gli domandano virtualmente chi abbia combattuto la battaglia d’arresto del novembre-dicembre 1917 sul Grappa e sul Piave, se non i soldati italiani, quando i suoi affluivano con cautela dal Mincio e se lo stop agli austriaci nel Solstizio di giugno l’abbiano imposto i 900mila in grigioverde o i 65mila franco-britannico da soli.

È stato fin troppo facile alimentare il mito di un’Italia che tradisce, che diserta. E il comandante supremo Cadorna ha le sue responsabilità nell’aver favorito la leggenda dell’“italiano che scappa”, firmando il Bollettino poi modificato che parlava di “sciopero militare” a Caporetto e per averla confermata, visto che nel 1926 ribadiva ancora dello spirito dei soldati avvelenato da un’infame propaganda contro la guerra. Lui stesso, come comandante in Capo, è stato penalizzato oltre i demeriti (che ci furono e gravi): gli alleati pretesero la sua testa e venne sostituito dal napoletano Armando Diaz.
Quadri troppo giovani, truppe troppo vecchie, una guerra che durava da molto, queste le ragioni della rotta, solo per ultima la propaganda, secondo il generale Scaroni, medaglia d’oro del conflitto.

Va pure detto che sconfitte più gravi e drammatiche nella Grande Guerra sono passate senza creare miti negativi. Generali ancora più battuti non sono stati schiacciati da il marchio d’infamia che macchia Cadorna. È un saggista inglese, Ronald Seth e non uno dei nostri ad avere ricordato che la disfatta del generale Langerak a Charleroi aveva aperto ai tedeschi 240 km di avanzata in 12 giorni e che la batosta di Mons viene raccontata come una sconfitta gloriosa, ma era costata agli alleati un arretramento di 190 km in 14 giorni.
Nessuna pietà invece per Caporetto: Seth aggiunge che i Comandi alleati dicevano stato detto alle truppe anglo-francesi in Italia ch’erano inviate a salvarci dall’invasione perché le armate italiane erano fuggite dal campo di battaglia ancora prima che la battaglia vera fosse stata ingaggiata. Significa ignorare la resistenza esasperata opposta da fanti, artiglieri, marinai, finanzieri, carabinieri, dai veterani e dai ragazzi del ‘99. E gli arditi fecero miracoli, con il loro spirito guerriero e lo sprezzo del pericolo.

Equanime invece il giudizio del nemico. Il generale bavarese von Dellmensingen non ha mai messo in dubbio che l’esercito italiano abbia posto fine alla ritirata del 1917 con le sue sole forze, sia pure rinfrancato dalla vista dei rinforzi alleati.
Giuseppe Prezzolini ha considerato Caporetto una “rivelazione straordinaria” che restituì al Paese buon senso, concordia, volontà, coscienza. È destino che gli italiani debbano imparare sempre a caro prezzo.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Caporetto. Una storia diversa

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