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Significato di parole, proverbi e modi di dire

Sinestesia: significato ed esempi della figura retorica

La sinestesia è una figura retorica piuttosto utilizzata, che spesso, soprattutto per gli studenti, comporta qualche piccolo dubbio. Di seguito vediamo come riconoscerla e facciamo qualche esempio pratico.

Chiara Ridolfi
Chiara Ridolfi Pubblicato il 25-10-2018

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Sinestesia: significato ed esempi della figura retorica

La sinestesia è una figura retorica molto usata nella letteratura italiana e i cui esempi sono svariati. Questa figura retorica spesso però comporta qualche problema di riconoscimento, soprattutto per gli studenti che la devono identificare.
La sinestesia è in verità una figura retorica piuttosto semplice da individuare dal momento che risulta evidente nelle poesie e nei componimenti.

La sinestesia è infatti un’associazione di parole che appartengono a due sfere sensoriali differenti e che possono quindi mescolare le percezioni che noi abbiamo. Un esempio di sinestesia può essere l’espressione "colore del vento" usata da Fabrizio De André in "La buona novella". I sensi coinvolti sono differenti, dal momento che il colore viene percepito con la vista, mentre il soffio del vento coinvolge di più una percezione tattile. Questo accostamento in letteratura si chiama appunto sinestesia.

Ora che abbiamo visto in che modo individuare questa figura retorica e abbiamo compreso quali siano le caratteristiche della sinestesia, approfondiamo di seguito in che modo è stata usata dai poeti e soprattutto qual è lo scopo all’interno di un componimento. Le figure retoriche hanno infatti sempre un preciso scopo all’interno del testo e di seguito vedremo anche per l’evoluzione di questo espediente letterario nella storia.

Sinestesia: esempi e utilità della figura retorica

Prima di vedere gli esempi famosi della letteratura cerchiamo di comprendere per quale motivo viene utilizzata questa figura. La sinestesia, accostando due percezioni differenti, riesce a dare un tocco di colore al testo e a ravvivare la narrazione, soprattutto se si è in un momento di calo. Questo espediente ha infatti lo scopo di attirare l’attenzione del lettore su una scena particolare o su un elemento specifico che per questo viene descritto in maniera precisa.
Riportare alla mente del lettore o dell’ascoltatore una precisa percezione sensoriale consente di avere un maggiore impatto e di ravvivare l’attenzione.

Leggendo un’espressione come quella che troviamo in "Alle Fronde dei Salici" di Salvatore Quasimodo che scrive di un "Urlo nero" la nostra attenzione si desta. La sinestesia infatti riesce a rendere in modo molto efficace, se utilizzata bene, le sensazioni. Ad esempio in questo caso, da lettori, percepiamo la profondità dell’urlo, la sua cupezza e soprattutto la disperazione. L’effetto è di gran lunga più riuscito che con espressioni quali: urlo disperato, urlo assordante e via dicendo.
Quasimodo non è però l’unico ad usare una figura retorica del genere ottenendo ottimi risultati. Tra i poeti di maggiore importanza nella letteratura italiana troviamo anche le seguenti sinestesie:

  • "mi ripegneva là dove il sol tace" di Dante, Divina Commedia, Inferno I, 60;
  • "Chiare, fresche et dolci acque" di Francesco Petrarca nel Canzoniere CXXVI, 1;
  • "L’odorino amaro" di Giovanni Pascoli in "Novembre";
  • "l’odore di fragole rosse" di Giovanni Pascoli in "Il gelsomino";
  • "Dolce e chiara è la notte e senza vento" di Giacomo Leopardi in "La sera del dì di festa";
  • "Il divino del pian silenzio verde" di Giosuè Carducci ne "Il bove";
  • "Fresche le mie parole" di Gabriele D’Annunzio in "Alcyone/ La sera fiesolana";
  • "le trombe d’oro della solarità" di Eugenio Montale in "Limoni".

Come si può vedere dagli esempi la sinestesia è usata in tutta la letteratura italiana, dalle origini sino al più recente Novecento. La differenza principale tra l’uso che ne fa Dante e quello di Leopardi è nella consapevolezza, che arriva solamente all’inizio dell’Ottocento quando i poeti e gli scrittori cominciano ad usare questa figura per dare risalto alle descrizioni. Sotto la spinta della musica e del Romanticismo giunge poi un nuovo modo di concepire la poesia in questo periodo e così l’uso delle figure retoriche diventa sempre più diffuso.
Nel Novecento la figura muterà ancora una volta, dal momento che Charles Baudelaire la eleggerà come centro nevralgico della sua poetica.

Da questo momento in poi la sinestesia diventa un collegamento tra armonie e i poeti italiani del Novecento ne fanno sempre uso. Si trova così Guido Gozzano che scrive "Odore d’ombra! Odore di passato!" in “La Signorina Felicita ovvero La Felicità" si passa poi per il futurismo e l’uso che ne fa Dino Campana che scrive "La grande luce mediterranea s’è fusa in pietra di cenere" in “Genova” di Canti orfici.
Nel secondo dopoguerra invece questa figura ottiene una sfumatura provocatoria, come la utilizza ad esempio Pier Paolo Pasolini che scrive in “Correvo nel crepuscolo fangoso”, in "Poesie inedite":

Benché radi brillavano / i fanali di una luce stridula.

Senza rendercene conto spesso anche noi utilizziamo una sinestesia per riferirci ad azioni banali, come ad esempio quando diciamo "sentiamoci per mail".

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sinestesia: significato ed esempi della figura retorica

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