Forse l’erede più interessante e originale (quindi, non solo un epigono) della lezione poetica di Elio Pagliarani è il milanese Valentino Ronchi (1976), che con il suo Buongiorno ragazzi (Fazi, 2019) riprende atmosfere, scelte formali ed echi contenutistici dell’indimenticabile La ragazza Carla.
Se quel poemetto pubblicato nel 1962, all’alba del boom economico e della nascente industrializzazione, era animato da un risentito sentimento di denuncia civile e insieme da una indulgente pietas nei confronti dei protagonisti, proletari stretti tra lavoro inappagante e affetti striminziti, la narrazione in versi di Ronchi è invece priva di rivendicazioni politiche o sociali, circoscritta a un vissuto individuale, e più teneramente intimistica.
Il poeta rievoca con toni di affettuosa malinconia il periodo magico del liceo (libri letti e dischi ascoltati, amori esibiti o taciuti, compiti in classe e gite scolastiche, mattine “eterne e brevi”), vagando col ricordo tra edifici scolastici e zaini stracolmi, primi e ultimi della classe, professori detestati o amati. Proprio la morte di un insegnante diventa il pretesto per recuperare i rapporti tra ex compagni e il ricordo del passato si fa subito pressante nostalgia, rimpianto per un tempo in cui l’attesa vaga del futuro non si tingeva ancora di amarezza o delusione:
Siamo troppo giovani, pensavi, per perdere / il professore di greco. Sono cose che dovrebbero / capitare più in là con gli anni quando / tanti intorno sono già partiti, e fa normale / che anche altri se ne partano.
Dal giorno dei funerali del docente, l’io narrante accoglie l’imperativo di recuperare voci e profili dimenticati, dando loro spazio nella memoria e sulla pagina:
E nel tempo / che resta invece ho deciso: andrò in cerca / di voi, vecchie immagini, vecchie realtà, / fantasmini da fotografia, belle creature / di un tempo, passeggere ancora e sempre / per le vie di questo mondo.
La Milano di Giudici, di Raboni, Erba, Sereni (ma anche delle canzoni dei Gufi, di Gaber e Jannacci e dei primi film urbani di Ermanno Olmi), la Milano dei tram, delle nebbie e dei Navigli, dei bar e dello stadio, di cantine e librerie antiquarie, riaffiora con tutta la sua struggente malinconia, nei quartieri periferici e nei personaggi che la abitano, segretarie e camerieri, pendolari e poliziotti:
Le sedie accatastate al muro, poggiate / a Mac Mahon deserta, il pizzaiolo nel cappotto / fuma, guarda dalla soglia i resti di Milano, / città che aspetta la fine di febbraio dietro / gli abbaini mezzi chiusi.
Nomi di strade e piazze, nomi di tutte le ragazze baciate, scorrono nei versi con la stessa rapida e rapita successione del catalogo delle navi omerico (“l’impiegatina” dagli occhi azzurri, un avventore del bar cui confidare le proprie pene, l’amico fornaio con addosso sempre la stessa frusta giacca), nell’attenta premura riservata ai gesti e ai dialoghi di ogni figura raccontata e nella ricostruzione del suo destino esistenziale, riassunto negli snodi fondamentali (matrimonio, figli, professione).
E se uno degli interlocutori ritrovati dopo anni accusa il poeta “Hai fatto della nostalgia un oggetto”, ecco che la rivendicazione fiera e umile della propria scrittura arriva puntuale:
alla fine si sta bene scrivendo, / lo ammetto dev’essere per questo / che mi ostino, continuo. Dà una certa / pace, e passano così le epoche / e ancora mi piace.
L’applicazione al contenuto, nei versi di Valentino Ronchi, prevale e mette in secondo piano quella rivolta alla forma, che assume decisamente un andamento narrativo e colloquiale, con frequenti inserti del parlato quotidiano (“Così, già che ci sono, en passant”, “E rido, sì che rido”, “Sia detto, mi è chiaro”, “pensaci bene”, “oh, ma guardati, sei tu”!).
Chi legge rivive questo fascino di una giovinezza trascorsa, inutilmente rincorsa e ricomposta, più tipica degli anni ’60 che del ventennio successivo vissuto dall’autore. Sarà forse che si è ragazzi tutti allo stesso modo, con gli stessi turbamenti e aspettative, in ogni piega della storia: “le giovinezze nostre, di tutti, che belle / si somigliano”.
Buongiorno ragazzi
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Carissima Alida, il libro non l’ho letto, ma la tua recensione è davvero assai "invitante".
Certo, il fatto è che mi arrivano da sempre decine di libri e di inediti, che non riesco quasi più a leggere globalmente. Il problema dipende anche dal fatto che il mio occhio destro è oramai cieco...
Grazie del tuo suggerimento e molti complimenti ed auguri a te e all’autore.
Un saluto affettuoso da
Mariella Bettarini