L’autunno è una sensazione nella poesia di Umberto Saba, assume le sembianze di uno stato d’animo impossibile da dissimulare. Tutto è racchiuso in una domanda dal tono affettuoso, accorato, che traduce un’urgenza di confortare o - forse di comprendere:
“Che succede di te, della tua vita?”
La risposta sorprende nella sua sintetica brevità, l’interlocutore senza nome risponde semplicemente: “È l’autunno”. Una stagione è sufficiente a celare un tormento invisibile, un groviglio insidioso di sensazioni, una turbolenza interiore. Leggendo quella parola “autunno” oscuramente avvertiamo che ci è stato detto tutto e anche più di quanto possa effettivamente essere detto: malinconia, languore, angoscia, un senso latente di struggimento e di abbandono che si associa alle foglie che cadono, alla luce radente, ai primi venti freddi annunziatori della fine dell’estate.
Autunno è la metafora di uno stato d’animo, ma anche l’allegoria di una crisi che non è solo interiore, non a caso ci viene espressa e quindi manifestata attraverso un dialogo tra un io e un tu: “Che succede di te?”.
Tutte le poesie del Canzoniere sono, a ben vedere, delle poesie autunnali; in primis quel capolavoro che è Città vecchia, che nel descriverci le “creature della vita e del dolore”, ci proietta in una serata di pioggia dove il giallo dei fanali si specchia nelle pozzanghere disseminate lungo la strada.
L’autunno è esattamente la stagione che più di ogni altra ci fa percepire la “vita nel dolore”, proprio attraverso il simbolismo delle foglie che cadono, emblema della caducità umana. Se l’estate, sfolgorante e radiosa, intatta nel suo splendore, appare come una promessa tangibile di eternità; ecco che l’autunno, invece, fa sfumare quella promessa, dissolvendola in un senso inoppugnabile di malinconia. “È l’autunno” dice la voce disincarnata, la presenza che sembra già assenza, niente più di un’ombra, una sagoma indefinita; ed è già come se dicesse “È la fine”, poiché in quelle due parole lapidarie avvertiamo subito il peso di una sentenza senza speranza.
I lettori del Canzoniere sanno - anzi, lo intuiscono subito oscuramente - che a pronunciare quelle parole è Lina, la moglie del poeta, la “donna dal rosso scialle” cui è dedicata la splendida Ed amai nuovamente, in cui proprio lei appare come la destinataria per eccellenza del suo canto poetico, quindi del suo “libro di più ardita sincerità”. Lina è l’interlocutrice segreta - ma non occultata - di tutto il Canzoniere; talvolta è una presenza invisibile, però non è mai muta, anzi, sono proprio le sue risposte a determinare il senso e il verso della poesia.
Cosa significa l’autunno nella poesia di Saba? Vediamolo nell’analisi che segue.
“Autunno” di Umberto Saba: testo
Che succede di te, della tua vita,
mio solo amico, mia pallida sposa?
La tua bellezza si fa dolorosa,
e più non assomigli a Carmencita.
Dici: “È l’autunno, è la stagione in vista
sì ridente che fa male al mio cuore”.
Dici – e ad un noto incanto mi conquista
la tua voce –: “Non vedi là in giardino
quell’albero che tutto ancor non muore,
dove ogni foglia che resta è un rubino?
Per una donna, amico mio, che schianto
l’autunno! Ad ogni suo ritorno sai
che sempre, fin da bambina, ho pianto”.
Altro non dici a chi ti vive accanto,
a chi vive di te, del tuo dolore
Che gli ascondi; e si chiede se più mai,
anima, a dove e a che, rifiorirai.
“Autunno” di Umberto Saba: analisi e commento
L’autunno irrompe sempre improvviso, è come una cesura inattesa che recide di colpo la stagione bella dell’estate. Non esiste uno scivolare lento o lieve nell’atmosfera autunnale: arriva con la pioggia e il vento, arriva senza bussare, impetuoso come un ospite imprevisto o non desiderato. Umberto Saba traduce l’avvento dell’autunno nella voce ammonitrice della poesia: “Che succede di te?” che anticipa la risposta:
È l’autunno, è la stagione in vista
sì ridente che fa male al mio cuore
L’autunno viene presentata come “la stagione che fa male al mio cuore”, una lunga perifrasi che anticipa la malinconia provata da Lina. Questo dissidio interiore viene espresso tramite il contrasto tra apparenza e interiorità: “la stagione in vista sì ridente/fa male al mio cuore”. Con i suoi colori variopinti in apparenza l’autunno sembra una festa, è travestito come un carnevale, eppure ecco che rivela il suo pungolo di angoscia, ciò che si manifesta solo in profondità e non emerge in superficie.
L’effetto della stagione nuova - come un presagio di vecchiaia - si ripercuote sulla bellezza della donna, osserva Saba:
La tua bellezza si fa dolorosa,
e più non assomigli a Carmencita.
Lina viene presentata in opposizione a Carmencita che, da sempre nella poesia sabiana, rappresenta il suo doppio. Carmen è la donna sensuale, quasi ferina (O canta, Carmen, le bellezze tue, Ndr) la nemesi letteraria di Lina, infatti il nome richiama la Carmen di Bizet, la bella zingara che si macchiava di tradimento amando prima un uomo (don José), poi un altro (Escamillo). Questa osservazione segna il distacco - anche se solo momentaneo - tra la moglie e il suo doppio: l’identificazione tra Lina e la zingara Carmen si avvera sin dal primo incontro tra la donna e il poeta, infatti Saba ricorda che quando incontrò Lina a Firenze, la donna non indossava il “cappello delle signorine”, ma lo scialle delle popolane; quello stesso “rosso scialle” che l’avrebbe identificata cromaticamente nel corso del Canzoniere.
Da questi versi iniziali comprendiamo che l’autunno che dà il titolo alla poesia non è soltanto una stagione, ma la metafora di una crisi. Assistiamo all’angoscia interiore di Lina - forse dovuta allo scorrere inesorabile del tempo, allo sfiorire della sua giovinezza - che si ripercuote all’esterno, nel suo sguardo che si fissa su quell’albero morente in giardino, che pare in agonia. Anche l’albero è una metafora della condizione di Lina, traduce il suo stato interiore: è come se i suoi occhi proiettassero all’esterno il tormento che sente dentro. Infatti lei presto dice:
“Per una donna, amico mio, che schianto
l’autunno! Ad ogni suo ritorno sai
che sempre, fin da bambina, ho pianto.”
In questi versi si sublima l’identificazione dell’autunno con la malinconia; Lina ammette che questa sensazione la perseguita, strisciante e persistente, sin dall’infanzia. “Ad ogni ritorno sai...” prefigura la donna che torna a chiudersi in una sensazione infantile, di bisogno e di attesa, in una tristezza senza scampo, e d’un tratto pare sottrarsi a chi le sta accanto.
Dopo aver dato parola a Lina, che ha espresso la propria condizione, Saba introduce, attraverso un riuscito chiasmo, la seconda crisi espressa dalla poesia:
Altro non dici a chi ti vive accanto,
a chi vive di te, del tuo dolore
L’autunno è anche allegoria della crisi della coppia. Il dolore latente, l’angoscia interiore di Lina, si ripercuote nel suo rapporto col marito: i due non riescono neppure più a parlarsi, perché lei è troppo smarrita nella sua assenza e lui nella sua arte.
La stagione che fa declinare la bella estate diventa metafora della crisi coniugale nella poesia di Saba. Il poeta, però, nel finale esprime il desiderio che l’animo di lei torni a rifiorire, come se anche la tristezza femminile seguisse il ritmo ciclico delle stagioni. L’amore ancora ci passerà vicino, con la stagione del biancospino, così cantava Fabrizio De André nella sua Inverno, sognando il ritornare delle gioie passate col “vento caldo di un’altra estate”. “Ma tu che vai, ma tu rimani” cantava malinconicamente De André in un ritornello consolatorio che rimanda alla ciclicità della vita.
Con un rima analoga Umberto Saba propone il suo augurio:
e si chiede se più mai,
anima, a dove e a che, rifiorirai
E stavolta comprendiamo che la speranza del poeta non è solo rivolta a Lina, a un ritorno del suo amore, ma anche a sé stesso: non è solo l’anima di Lina, si tratta della sua anima. L’autunno presuppone lo sfiorire di tutte le cose: è la stagione della perdita. L’ultimo verso, “anima, a dove e a che, rifiorirai”, sembra condensare una riflessione sulla caducità della vita e la promessa di un altrove. Il tono malinconico e dolente che caratterizza l’intero componimento si acuisce nella possibilità espressa da questi versi: Autunno inizia con un verbo coniugato al presente e si conclude con un verbo al futuro, ma è un futuro lontano, che ancora deve arrivare, e intanto appare sottoposto a tutte le angherie del presente.
Il verbo “fiorire” ancora una volta avvicina l’essere umano all’immagine dell’albero, in un parallelismo allegorico: Lina si sente morta dentro come quell’albero in giardino, che sta perdendo le sue foglie, così muore nell’incomunicabilità la relazione tra lei e il poeta; ma c’è la speranza, un giorno, di rifiorire?
L’autunno di Saba appare senza scampo; eppure, timidamente, si apre alla fugace prospettiva di una rinascita attraverso l’amore, ma soprattutto, all’ascolto come suggerisce la premurosa domanda di apertura che rivela l’intenzione accorata e ancora amorosa:
Che succede di te?
La dinamica domanda/risposta ci suggerisce ancora la possibilità di una comunicazione, apre dunque uno spiraglio alla possibilità della riconciliazione. “Che succede di te, della tua vita?”, “È l’autunno”, d’un tratto quella che si prefigurava come una fine diventa allegoria episodica di un passaggio.
E l’autunno, come tutti sanno, è la perfetta rappresentazione di una stagione di passaggio: ha in sé l’ultimo splendore dell’estate e l’irrimediabilità di ghiaccio dell’inverno. Umberto Saba, tramite i suoi versi, riesce a restituirci appieno questa melanconica sensazione di transito.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Autunno” di Umberto Saba: la poesia che prefigura la crisi
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