L’anima innamorata di Alda Merini

Conosciamo pienamente il dolore e la fatica di vivere di Alda Merini, le sue lotte estreme come persona “diversa” dalla società che la rifiuta, la castiga, segrega e oltraggia fin dove può, finché non ne riconosce il valore. La testimonianza viene dal libro L’anima innamorata (Corriere della sera, Media Group, 2014, per concessione di Frassinelli).

Non si tratta di poesie ma di prosa, scaturita di getto, ricca di vertici lirici che diventano prose poetiche.
Fin dall’infanzia Alda è innamorata di Dio e di Gesù, poi con l’età trasferisce naturalmente questo amore mistico nell’uomo, da cui riceve colpi bassi, profonde ferite e delusioni, fino a farla “uscire di testa”, scappare dalla comune piccola ragionevolezza (pathos e pazzo hanno la stessa radice etimologica) fino all’internamento ventennale in manicomio. Lo sappiamo.
È la dicotomia tra cielo e terra, coltivata pervicacemente nella nostra cultura, la radice della sua sofferenza, ma la poesia e l’arte (suonava anche il piano) aiutano a superarla, tale è la loro funzione, per Merini in modo speciale.
Di lei Taglietti scrive giustamente che:

Tra carne e spirito non è dualismo ma coesistenza.

Non è un’operazione mentale di facile attuazione. La poetessa la chiarisce con grande consapevolezza, mostrando tutta la sua piena autocoscienza e l’arditezza del pensiero:

Ogni poeta è un sacerdote e sopporta pene indicibili per regalare la propria parola agli altri. ‹È un improbo recupero di forze per avvertire un po’ di eternità›.

La gente tenta di far morire il recupero, finché ci riesce:

E il poeta muore veramente, vinto dalla stanchezza e dalla preghiera che non riesce più a risorgere. Mai più?

No, risorge dopo mille sforzi, emigra e ritrova la sua vera casa, con un viaggio spaziale. Anche Leopardi adorava contemplare il cielo stellato, fino alla notte prima di morire, con un sentimento di appagamento.
Scrive Alda Merini che la poesia:

è lanciata nello spazio siderale, come una stella sparata dalla Terra.

Amante del mito, paragona Orfeo che scende negli inferi alla ricerca e al recupero terreno dell’amata ninfa Euridice, non riuscendoci. Tanto riesce invece a Cristo resuscitato, che subito si rivela a Maddalena.
E per lei, per Alda? Il rapporto con l’uomo è carico di disparità dolorosa, fino al proprio annullamento:

Divento un pugno di sabbia tra le tue mani disattente. [...] Non vedi che mi spargo in lacrime ai tuoi piedi e rasento la terra. [...] Rimane accanto al tuo letto un sudario di qualcuno che è morto sulle tue tracce, come se tu fossi un fiume.

Il libro è dedicato a padre Maria Turoldo, fratello in poesia, conosciuto negli anni Quaranta nella casa di Giacinto Spagnoletti, il suo primo e attento critico.
Il volume si apre con la denuncia del suo essere “pecora nera” rifiutata, ma dopo una pagina lei ha già compreso perché siamo al mondo, ed ha perdonato:

L’anima è il principio del bene ed è l’occasione ultima per vivere. [...] L’anima non è mai religiosa ma è la religione stessa. Quando dico che il peccato fa parte della vita e della morte e quindi anche della redenzione, io sostengo che grazie alla materia noi possiamo controllare la nostra morte e le nostre agonia di pensiero.

Sono punti vertiginosi da meditare a lungo. E il discorso è diretto soprattutto agli uomini:

Tu hai sempre dormito e non ti sei accorto che sono venuta da te in forma d’anima. [...] Ma io che ti amo sono diventata immortale.

L’uomo incosciente è il vero morto:

Sono in fondo l’infula [il bendaggio, mia spiegazione] di un morto e non so come tu faccia a vivere perché tu non mi baci mai, e non puoi baciarmi perché sono la tua anima.

L’uomo (non tutti) sembra essere focalizzato solo sul corpo. Alda si sentì dire:

Da quando sei grassa non ti amo più.

Il libro è il diario interiore dell’artista, universale. La poetessa crede ancora e sempre nel miracolo più grande:

Appartenere a qualcuno significa entrare con la propria idea nell’idea di lui o di lei e farne un sospiro di felicità.

Talvolta le è accaduto.