

Pubblicata per la prima volta nel 1893 su La Nazione Letteraria, Alba festiva trova la sua definitiva collocazione in Myricae in apertura della prima sezione della raccolta intitolata Dall’alba al tramonto.
Al sorgere di un giorno di festa, quasi certamente una Domenica, Pascoli si sveglia pervaso da sensazioni positive che destano in lui piacevoli emozioni, fresca vitalità e un’inconsueta pace interiore. Il poeta ascolta rapito il suono lontano delle campane che giunge nitido alle sue orecchie e attribuisce a ciascuna tonalità un valore simbolico che abbraccia l’amore per la natura e il rapporto privilegiato che sente di avere con essa, i sentimenti, la gioia di godere della bellezza e dell’importanza delle piccole cose, i desideri, la morte.
Le suddette tematiche, tipiche della lirica pascoliana, dal punto di vista metrico e stilistico si traducono in un sapiente gioco di assonanze e sovrapposizioni di immagini e rumori in cui la parola, come sempre, svolge un ruolo fondamentale, quasi di traduzione all’esterno dei pensieri più reconditi e delle passioni più segrete dell’autore.
Vediamo testo, parafrasi, spiegazione, analisi critica e significato di Alba festiva.
“Alba festiva”: testo della poesia
Che hanno le campane,
che squillano vicine,
che ronzano lontane?È un inno senza fine,
or d’oro, ora d’argento,
nell’ombre mattutine.Con un dondolìo lento
implori, o voce d’oro,
nel cielo sonnolento.Tra il cantico sonoro
il tuo tintinno squilla,
voce argentina – Adoro,adoro – Dilla, dilla,
la nota d’oro – L’onda
pende dal ciel, tranquilla.Ma voce più profonda
sotto l’amor rimbomba,
par che al desìo risponda:la voce della tomba.
“Alba festiva”: parafrasi
Che hanno le campane,
il cui suono si sente vicino,
anche se esse sono lontane?
È un canto che non finisce mai,
con rintocchi ora d’oro, ora d’argento,
alle prime luci dell’alba.
Con un dondolìo lento (l’oscillare delle campane)
implori, o voce d’oro,
nel cielo che ancora non si è svegliato del tutto e sembra indifferente.
Tra i canti di preghiera del vespro mattutino
il tuo tintinno squilla,
voce limpida – Adoro,
adoro – Dilla, dilla,
la nota d’oro (sinonimo di festa, di nuovo inizio, di speranza) – L’onda
pende dal cielo, tranquilla.
Ma una voce più profonda
sotto l’amore rimbomba (il suo suono cupo sovrasta gli altri)
pare che al desiderio risponda:
la voce della tomba (della morte, che vince su tutto).
“Alba festiva” di Giovanni Pascoli: metrica, stile e figure retoriche


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Strutturata in terzine dantesche, la poesia Alba festiva si compone di sei terzine di settenari piani a rima incatenata (aba bcb) e un verso finale, anch’esso a rima incatenata, isolato.
Le figure retoriche preponderanti, come è peculiare nella lirica pascoliana, sono quelle relative al suono, pertanto assonanze, consonanze e, soprattutto, onomatopee (squillano, ronzano, dondolìo).
La prima strofa sottende una personificazione, nella seconda è presente una sinestesia (or d’oro, ora d’argento in riferimento ai rintocchi).
Da notare, nella penultima strofa, l’utilizzo delle parole "adoro, dilla, d’oro, onda" per rendere efficacemente dal punto di vista linguistico la sonorità delle campane senza usare l’onomatopea din don, al contrario presente in altri celebri componimenti di Pascoli.
Alba festiva, in effetti, si snoda attraverso un intrico di immagini e di suoni che si intersecano e si sovrappongono fondendosi in un originale gioco a incastro, da cui è quasi impossibile distinguere e separare nettamente le une dagli altri, traducendosi il tutto, in sostanza, in quella armoniosa commistione di vocaboli e fonemi da cui deriva gran parte della suggestività delle opere pascoliane.
“Alba festiva”: analisi della poesia
C’è tutto un valore simbolico delle campane e la poetica del suono fra i versi di questa poesia. In Alba festiva il suono delle campane, protagonista dall’inizio alla fine, assume un valore simbolico: a ogni tono corrisponde un sentimento/emozione. La sfumatura più lieve indica l’amore, quella più acuta il desiderio, mentre la morte, alla fine, si presenta con la vibrazione più grave.
Non solo: pur trattandosi di un manufatto umano, quindi di un oggetto, le campane vengono raffigurate come qualcosa di animato e vivo, in grado di integrarsi a tal punto con la natura circostante da divenirne un elemento a tutti gli effetti, indistinguibile dagli altri e perfettamente uguale a essi. Il lieto scampanio infonde serenità al poeta che lo ascolta estasiato, è la colonna sonora perfetta del giorno di festa che sta per cominciare nonché lo sfondo ideale su cui si stagliano intensi e splendenti i colori dell’alba.
La scelta dell’aurora non è casuale, bensì voluta per il suo intrinseco valore simbolico: come momento di passaggio fra la notte e il giorno, essa rappresenta la rinascita e la speranza.
In tale contesto le campane assumono una molteplice veste, poiché sono, al contempo, un segnale di risveglio, un richiamo al sacro, un’icona festosa, uno stimolo alla riflessione e un invito al raccoglimento interiore.
Per rendere in modo ancora più incisivo e conferire maggiore espressività, anche visiva, al concetto, Pascoli si serve del colore e, come sempre, dei simboli. L’oro e l’argento dei rintocchi ben rappresentano la luminosità e la freschezza del primo mattino, nonché la carica di energia e di vitalità che, di solito, ad essa si accompagna; il calore e il chiarore evocati dall’oro e la delicatezza richiamata alla mente dall’argento, inoltre, restituiscono una delle visioni poetiche più incantevoli e profondamente significative della letteratura italiana contemporanea.
“Alba festiva”: l’amore per la vita e il richiamo, ineluttabile, della morte
Il richiamo della morte, tematica onnipresente e addirittura ossessiva in Pascoli, conclude con un tocco noir una poesia che tuttavia è e resta un chiaro e sentito inno alla vita.
Proprio quando i canti di preghiera del vespro mattutino si fanno più alti, solenni e gioiosi, proprio quando tutto preannuncia l’imminenza della festa, ecco che irrompe sola, cupa e penetrante una voce, quella della tomba, che spazza via ogni allegria, qualunque aspettativa di felicità, qualsiasi sogno di un fulgido avvenire.
La terza campana, quella della morte, sovrasta ogni cosa e vince su tutto.
I motivi personali e psicologici che spiegano l’assillante presenza del tema mortifero nell’opera pascoliana sono noti: i precoci lutti familiari e la distruzione del "nido" precipitano il poeta in una patologica angoscia esistenziale e in un doloroso ripiegamento interiore da cui non riesce più a guarire. E così in chiusura di componimento troviamo la risposta alla domanda con cui Alba festiva si apre, ed essa non può non essere la stessa alla quale l’artista romagnolo ci ha abituati: la voce più potente è quella della morte. E così all’ilare frastuono si sostituisce il silenzio della fine.
Tuttavia quest’ultimo non è assenza, tutt’altro, poiché i defunti continuano a cercarci, a chiamarci, a parlarci, a comunicare con noi nell’ambito di quello speciale e intenso rapporto incorporeo che unisce vivi e morti.
Dunque Alba festiva risponde pienamente alle finalità che Myricae, la raccolta che la contiene, si propone, ovvero sollecitare il lettore ad imparare a cogliere la straordinarietà e la poesia che si celano negli aspetti apparentemente più umili e dimessi del quotidiano.
Anche una Domenica qualunque, ci insegna Pascoli, può svelare meraviglie insospettabili o a cui, semplicemente, non prestiamo la dovuta attenzione, come un gradevole risveglio, il sentore che stia per accadere qualcosa di bello, la visione di una natura accogliente, i colori dell’alba e l’"inno senza fine" delle campane, che assurge a simbolo del perpetuo fluire della vita e di un mondo che dobbiamo imparare a guardare con gli occhi pieni di stupore del fanciullo se vogliamo che non smetta mai di stupirci.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alba festiva” di Giovanni Pascoli: la poesia sull’importanza e la bellezza della Domenica
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