6.650 chilometri. La "corsa" al Nilo fin de siècle delle grandi potenze
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Un lunghissimo fiume africano scorre nella storia del Mediterraneo, dell’Europa e del mondo. Carlo De Risio, storiografo militare vastese, racconta in cinque “parti” e nove appendici la “corsa” al Nilo delle grandi potenze, alla fine del 1800. Ha pubblicato per le Edizioni romane IBN il saggio 6.650 chilometri. La "corsa" al Nilo fin de siècle delle grandi potenze (collana Pagine Militari, ottobre 2019, 108 pagine), con la collaborazione dell’ottimo Alessandro Santoni, che assicura il consueto accurato e originale corredo fotografico,.
Il titolo riprende la distanza dalle sorgenti alla foce percorsa dalle acque del Nilo e la parte iniziale del volume si dedica alle vicende storiche e belliche per il controllo del territorio lungo il corso medio-alto del “padre di tutti i grandi fiumi”. Sono anni determinanti, dal 1896, nella competizione coloniale nel continente africano tra Gran Bretagna e Francia, con l’Italietta terzo incomodo nel Corno d’Africa, severamente bastonata dall’armata abissina del Negus Menelik ad Adua.
Una disfatta bruciante per le ambizioni imperiali del primo ministro Francesco Crispi, diverso invece l’esito delle operazioni (separate e rivali) di Inglesi e Francesi, impegnati a fronteggiare la rivolta islamista guidata dal Mahdi. Protagonisti, il “Sirdar” Horatio Kitchener, alla testa di un esercito anglo-egiziano e il capitano Jean-Baptiste Marchand, con un pugno di connazionali e 150 fucilieri senegalesi.
Uno puntava a saldare a vantaggio di Londra l’asse longitudinale Cairo-Città del Capo, l’altro aveva il compito di collegare i possedimenti francesi dell’Africa Occidentale con quelli della costa somala (Gibuti): l’Atlantico con l’Oceano Indiano.
A sostegno della missione Marchand, Parigi aveva avvicinato proprio Menelik, rifornendolo di armi contro gli invasori italiani.
Per Kitchener c’era un motivo ulteriore per fermare la pericolosa espansione dei mahdisti. Voleva vendicare il generale Gordon, barbaramente decapitato nel 1885 dai Dervisci, seguaci del Mahdi, autoproclamatosi inviato del profeta Maometto. Un antenato di Bin Laden e degli sceicchi dell’Isis.
Il 2 settembre 1898, a Omdurman, alle porte di Khartoum, l’esercito del Sirdar fece a pezzi quello dei successori del Mahdi, mentre Marchand issava il tricolore a Fashoda, nel vasto territorio del Bahr el Ghazal. Kitchener lo raggiunse a sua volta, attestandosi in nome del Khedivè d’Egitto e il capitano francese dovette ritirarsi, su istruzioni del suo Governo, che non voleva un conflitto coi britannici.
Menelik (ancora lui) inviò un forte contingente per scortarlo fino a Gibuti.
È brillante De Risio nel ricordare le rievocazioni cinematografiche di quegli eventi, i diversi remake del film Le quattro piume sulla riconquista del Sudan (il migliore datato 1939). Lo spettacolare colossal Khartoum, interpretato da Charlton Heston nel ruolo del generale Gordon e da Laurence Olivier in quello del Mahdi. Fedele alla realtà storica anche la buona fiction a puntate Fashoda – La Missione Marchand, realizzata nel 1977 dalla televisione francese Antenne-2.
Le appendici trattano il resto dei decenni, arrivando alla battaglia di Cheren dei primi del 1941, ultima resistenza dell’esercito italiano isolato nella propria colonia Eritrea, che gli Inglesi andavano occupando.
Tornando alla campagna di Kitchener, venne vissuta in prima persona dal giovane Churchill, ufficiale del 4° Ussari della Regina e reporter d’eccezione di quella campagna. In effetti il Sirdar avrebbe fatto a meno dell’incomodo Winston, che considerava solo un arrivista a caccia di gloria, ma il giovane era un raccomandato di ferro, godeva dell’apprezzamento degli uomini politici e in particolare del principe di Galles, erede al trono, per un suo resoconto della spedizione a Malakand, nella colonia indiana. Un libro fortunato, sebbene devastato da refusi mal corretti.
Al seguito del recalcitrante Kitchener, Churchill si assicurò anche un congruo ritorno economico, scrivendo corrispondenze di guerra ben compensate dai giornali, visto l’alto credito che godeva come inviato di guerra.
De Risio ci informa inoltre sulla presenza poco nota in Africa di una spedizione russa. Partita dal Mar Nero, sbarcò nella Somalia francese, addentrandosi all’interno e sollevando un vespaio tanto a Parigi quanto a Roma. Arrivò in zona una nave militare italiana e anche Londra si mise sul chi vive. Lo zar venne costretto a sconfessare la missione, che dovette rientrare in Russia.
Tra le curiosità, che fanno pure sorridere, le figuracce italiane con le monete d’argento etiopi. Tutte quelle regio-italiche coniate dalla Banca d’Italia, dal 1901 a Mussolini, risultarono improvvidamente più leggere e malfatte, sia dei talleri di Maria Teresa sia dei talleri di Menelik, in corso in Etiopia. Non vennero accettati dai locali e il nostro Paese si espose ancora una volta a una magra.
Del resto, il santo patrono della numismatica doveva essere contro di noi: dopo Adua, Umberto I fu costretto a sbarazzarsi delle monete d’argento nuove di zecca, con la dicitura “Re d’Italia Imperatore d’Etiopia”. Dette ordine “con burbera amarezza”, di distruggere i conii con la sua effige, già realizzati in attesa “di quella proclamazione imperiale che la disastrosa battaglia si era incaricata di rendere soltanto un sogno”.
6.650 chilometri. La «corsa» al Nilo fin de siècle delle grandi potenze
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