Giuseppe Ungaretti, poeta di guerra e poeta d’amore, soldato scelto su entrambi i fronti.
Il 12 settembre 1966 era un lunedì, ce lo racconta Ungaretti nella poesia omonima dedicata a Bruna Bianco, sua ultima musa. È lei la donna dal vestito rosso che incarna il fuoco inestinguibile della passione “che consuma e riaccende”.
L’incontro tra i due fu folgorante, amore a prima vista, ed è eternato dai versi incendiari di questa poesia che ci restituisce tutto il significato magico, travolgente e propiziatorio degli inizi.
Ungaretti o “Ungà”, come si faceva chiamare, conobbe Bruna Bianco nel 1966 durante una conferenza in Brasile. Lei gli si avvicinò timidamente, alla fine, per consegnare al grande poeta alcune poesie che aveva scritto di suo pugno. Quel gesto fu l’inizio di tutto: nacque un sentimento disarmante capace di andare oltre ogni ostacolo, persino oltre la distanza. Quando Ungaretti lasciò il Brasile, dove Bruna viveva da dieci anni con la sua famiglia di origine astigiana per motivi di lavoro del padre, continuò a scrivere lettere d’amore alla ragazza. Lei aveva ventisei anni e lui settantotto; ma, come ribadisce il poeta nei versi di 12 settembre 1966, “L’età per vincere non conta”.
Bruna Bianco fu l’ultima musa di Ungaretti, la ragazza emanava un “fuoco vivo” al quale l’ormai anziano poeta non poteva restare insensibile. Le scrisse più di duecento lettere in due anni. Tutte iniziano con “Bruna cara” e alcune esprimono un sentimento genuino, candido, in apparenza platonico e, al contempo, impossibile da soffocare:
L’anima della mia anima. Sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
E ancora, stupito, travolto, sognante, Ungaretti si domanda:
Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita?
Proprio a Bruna, colei che Ungà chiama “l’ultima mia poesia”, sono dedicati i versi di 12 settembre 1966, una lirica perfetta che conserva il potere incandescente degli incontri che segnano un destino.
Vediamone testo , analisi e approfondiamo la storia d’amore che si cela dietro la poesia.
“12 settembre 1966” di Giuseppe Ungaretti: testo
Sei comparsa al portone
In un vestito rosso
Per dirmi che sei fuoco
Che consuma e riaccende.Una spina mi ha punto
Delle tue rose rosse
Perché succhiassi al dito,
Come già tuo, il mio sangue.Percorremmo la strada
Che lacera il rigoglio
Della selvaggia altura,
Ma già da molto tempo
Sapevo che soffrendo con temeraria fede,
L’età per vincere non conta.Era di lunedì,
Per stringerti le mani
E parlare felici
Non si trovò rifugio
Che in un giardino triste
Della città convulsa.
“12 settembre 1966” di Giuseppe Ungaretti: analisi e significato
Chi definisce Ungaretti “poeta di guerra”, non lo conosce bene; ma “poeta soldato” è, invece, una definizione abbastanza calzante e rappresentativa, accurata, perché in effetti Giuseppe Ungaretti combatté sempre in prima linea nella vita, sul fronte di guerra così come in amore.
Accanto all’Ungaretti che ci narra del suo cuore come del “paese più straziato” in San Martino del Carso, troviamo il cantore dell’amore capace di comporre versi dolcissimi in cui a palpitare è un cuore vivo, pulsante e innamorato, come Dove la luce, contenuta ne Il sentimento del tempo (1933), dove promette di condurre la sua amata alle “colline d’oro”.
L’analogo timbro, appassionato e tenero, lo ritroviamo nei versi della raccolta Dialogo (1966-1968) che contiene nove poesie di Ungaretti e otto poesie scritte da Bruna Bianco. Proprio in questa silloge è racchiusa 12 settembre 1966, la poesia che narra il primo incontro tra il poeta e il suo ultimo amore. La poesia di apertura della raccolta è proprio questa, che inizia con la comparsa di Bruna al portone con “un vestito rosso”: una donna che si fa rappresentazione di un destino.
Il rosso è il colore dominante della lirica, che si caratterizza per questa peculiare tonalità cromatica: il rimando al colore carminio non è casuale, è infatti il simbolo dell’amore in tutte le sue sfumature, “rosso come il fuoco” (Bruna viene paragonata alla fiamma che consuma e riaccende), “rosso come le rose” e le loro spine, massima espressione del tormento amoroso.
L’amore infatti assume le forme di una spina che punge il dito del poeta, non poi molto dissimile dalla freccia di Cupido, croce e delizia dell’innamorato. Possibile che il riferimento contenuto nel verso “una spina mi ha punto delle tue rose rosse” sia un’allegoria per indicare le poesie che Bruna ha consegnato a Ungaretti dopo la conferenza. In una lettera infatti il poeta le confessava di essere rimasto incantato dalla “grazia e dalla bellezza dei suoi versi”, anche se a una seconda lettura: era stata la poesia, sempre la poesia, il galeotto d’amore, come in versi di dantesca memoria, Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse/ quel giorno più non vi leggemmo avante.
La strada dalla selvaggia altura che Ungaretti nomina nella seconda strofa sembra celare un’altra allegoria: un po’ come la “selva oscura” di Dante indica lo smarrimento, così la “strada che lacera il rigoglio” ungarettiana narra un amore difficile, minato dalle circostanze. Ma il poeta mette a tacere le diatribe che avrebbe potuto suscitare la sua passione senile e le malelingue con un verso tanto lapidario quanto esplicativo:
L’età per vincere non conta.
Anche in questa sua metafora amorosa Ungaretti si conferma soldato, usa un verbo centrale nella narrativa italiana di guerra: “vincere”, lo stesso verbo del resto abusato nelle cartoline prestampate durante le due guerre mondiali, contornate da quell’inequivocabile e propiziatorio “Vinceremo”, che quasi non lasciava spazio alla corrispondenza.
Si può vincere in amore? Ungaretti non ci dà risposte, si limita a utilizzare un linguaggio trionfale, e a concludere con un’immagine dalla tenerezza disarmante: “Per stringerti le mani/ E parlare felici”, in cui il passaggio dal tu al noi è espresso da un tempo verbale coniugato all’infinito. I due amanti non chiedono nulla più che la presenza reciproca; per questo attimo rubato al tempo cercano rifugio in un giardino, un angolo isolato e segreto, eppure triste proprio perché abbandonato, dove non li raggiungono i rumori, gli sguardi e il traffico costante della “città convulsa” che continuamente si agita, ritorcendosi su sé stessa senza posa, soffocando i desideri di coloro che vorrebbero solo cercarsi - e ritrovarsi.
Giuseppe Ungaretti e Bruna Bianco: la storia di un amore
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In una lettera a Bruna Bianco datata 15 settembre 1966, dunque scritta esattamente tre giorni dopo la celebre poesia, Ungaretti inserisce una dichiarazione che assomiglia a un congedo:
Non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito.
In realtà la corrispondenza tra i due sarebbe proseguita per altri due anni, per poi interrompersi in un silenzio assordante. Ma Ungaretti, sin dal principio, augurò a Bruna “lunghi anni felici”, che è forse la più forte e tenace dichiarazione d’amore: sperare nella felicità dell’altro. Ungà sapeva che la giovane donna, appena laureata in giurisprudenza, li avrebbe vissuti comunque, con o senza di lui; forse, per la maggior parte, proprio senza di lui.
Non sono chiari i motivi per cui la lunga corrispondenza epistolare sia stata interrotta; quel che è certo è che Bruna, per parecchi anni, ha tenuto nascoste quelle lettere, come un segreto soltanto suo. Avrebbe voluto bruciarle, ha confidato con un filo di voce, molti anni dopo; eppure le ha tenute, per poi rileggerle tra le lacrime.
Dopo un amore così grande, l’unica scelta era ricominciare da zero, essere normale.
Colpisce l’uso del termine “normale”, come se quella passione incendiaria e quasi clandestina fosse stata strappata alla moralità; un’eccezione nell’ordito lineare della vita, un amore meraviglioso proprio perché negato. Forse furono proprio le malelingue a costringere i due a separarsi: la loro grande differenza d’età (quasi cinquant’anni) non era ben vista, si vociferava che lei intendesse approfittarsi di lui e che lui rischiava, con quella passione senile, di mettere a repentaglio nome e carriera giocandosi, tra l’altro, il Nobel per la Letteratura.
Ungaretti non avrebbe mai vinto il Nobel (cui era stato più volte candidato) e Bruna Bianco non sarebbe divenuta ufficialmente “poetessa”, ma un importante avvocato a San Paolo, in Brasile. Tra i doni che Ungaretti le aveva fatto vi era la sua penna stilografica, con cui aveva scritto diverse sue poesie; gliel’aveva inviata con una lettera il 3 novembre del 1966 come pegno d’amore, perché la penna “guidata dalla mano, trasmette il pensiero e gli affetti”.
Quando era ormai anziana - e forse era finalmente riuscita a perdonare e perdonarsi - si era decisa a trascriverle, con l’aiuto dell’italianista Francesca Cricelli, e a farne un volume, Lettere a Bruna, uscito per Mondadori nel 2017.
Aveva settant’anni Bruna Bianco, quasi l’età che aveva Ungaretti quando la conobbe la prima volta; eppure era sempre la “ragazza col vestito rosso” entrata nel destino di un poeta. C’è anche la sua versione della storia, quando racconta il loro primo incontro, ovvero del momento in cui lei aveva consegnato le poesie a Ungaretti e si era ritrovata a discorrere con lui per un’ora, sopraffatta da un’affinità inspiegabile, finché lui:
Mi abbracciò e mi accompagnò con un lungo gesto delle mani. Tutto il mio corpo fu solcato da una lunga, intima vibrazione, da un piacere sensoriale che non avevo mai provato.
Dal vivo si sarebbero visti solamente sei volte, la loro passione fu consumata su carta, in punta di penna. L’amore che resta lo troviamo nelle lettere, nei frammenti appassionati di poesie dove lei rimane la “ragazza con il vestito rosso”. Di questo Bruna Bianco sarebbe stata riconoscente, sempre, e con gli stessi occhi di allora - azzurri - nel momento della pubblicazione delle Lettere dichiarò che il suo amore era rimasto immutato, ma era giunto il momento che non fosse più soltanto suo - custodito gelosamente - poteva essere letto da tutti gli uomini, come un messaggio universale di cui fare tesoro. Le Lettere a Bruna di Giuseppe Ungaretti furono pubblicate in una data simbolica ed evocativa: il 12 settembre, un giorno che ormai racchiude per sempre la promessa del loro incontro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “12 settembre 1966”: la poesia d’amore di Giuseppe Ungaretti per Bruna
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