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Storia della letteratura

La neolingua in 1984 di George Orwell

Nel lucido e agghiacciante romanzo distopico “1984” la neolingua è uno strumento silente di annientamento delle coscienze.

Francesca Barile
Francesca Barile Pubblicato il 21-05-2018

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La neolingua in 1984 di George Orwell

Il romanzo “1984” di George Orwell è ormai da tempo diventato un classico della letteratura e nella sua chiaroveggenza ha anticipato molte situazioni che sono diventate abituali al giorno d’oggi; si pensi all’uso spinto delle telecamere di sorveglianza, eredi indirette dei teleschermi che osservavano la vita degli abitanti di Oceania nel romanzo di Orwell con oscura perversione voyeuristica o all’indulgere in molti paesi occidentali e non nell’osservazione di un gruppo di aspiranti alla fama nel programma seriale “Grande fratello” che richiama il misterioso e onnipresente leader del partito plenipotenziario del romanzo.

Un potente e occulto strumento di manipolazione è però la cosiddetta neolingua, un adattamento della lingua in uso che ha lo scopo non di ampliare il vocabolario con nuovi termini e comparazioni al fine di migliorare il pensiero del popolo, ma al contrario di ridurre al minimo il bagaglio linguistico di ciascun parlante allo scopo di delimitare la capacità di pensiero.
Come spiega cinicamente un collega del protagonista addetto alla redazione del vocabolario della neolingua, non occorrono molte parole per esprimere un concetto.
Automaticamente, con la riduzione sistematica dei sinonimi e contrari, diventa difficile se non addirittura impossibile esprimere un pensiero complesso soprattutto se in palese contrasto con gli slogan imposti da una intellighentia che mira al controllo totale delle masse e conseguentemente si attua il depauperamento spirituale dell’individuo.
La disquisizione linguistica del romanzo si ispira abbastanza chiaramente a Swift e a un passaggio de I viaggi di Gulliver che vede gli scienziati dell’Accademia di Lagado discettare su una possibile abolizione del linguaggio con lo scopo di risparmiare i polmoni sostituendo le parole con oggetti da mostrare e da recare insieme alla bisogna. Anche in questo caso la caustica satira di Swift attacca la libertà di pensiero ed è curioso come paradossalmente il presunto misogino autore irlandese abbia dato alle donne l’idea di ribellarsi alla impossibilità di esprimersi verbalmente.
L’importanza della parola è sottolineata in ambedue le opere: saper parlare e conoscere un ampio numero di vocaboli non è inteso come mero esercizio mentale o di speculazione intellettuale, ma al contrario come capacità di pensare e di conseguenza di rapportarsi in maniera attiva. La parola è vista come libero strumento affinché il pensiero si possa tramutare in azione.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La neolingua in 1984 di George Orwell

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