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Recensioni di libri

Il mio turno per il tè di Monica Dickens

Elliot, 2016 - Conoscere la vita, fu questo il motto di Monica Dickens che lavorò anche nel mondo della carta stampata e, da buona osservatrice, ne trasse un libro gustoso come questo, dove l’io narrante è la simpatica Poppy, aspirante reporter.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 06-02-2017

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Il mio turno per il tè

Il mio turno per il tè

  • Autore: Monica Dickens
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Elliot
  • Anno di pubblicazione: 2016

“Il mio turno per il tè” (Elliot, 2016, titolo originale My turn to make the tea, traduzione di Federica Fusaroli) è il terzo romanzo, finora inedito in Italia, pubblicato nel 1951 dall’autrice inglese Monica Dickens (Londra, 10 maggio 1915 - Reading, 25 dicembre 1992), nata nella celebre e facoltosa famiglia Dickens, pronipote del famoso e prolifico scrittore Charles.
Dopo i volumi “Su e giù per le scale” (1939) e “Su e giù per le corsie” (1942), nei quali l’ironica Monica raccontava le sue tragicomiche esperienze rispettivamente come domestica e in seguito come infermiera, l’autrice qui propone al divertito lettore cosa avesse voluto significare negli anni Cinquanta del XX Secolo essere una reporter di sesso femminile impiegata nella redazione di un piccolo giornale di provincia.

Anticonformista e ribelle di natura, Monica venne espulsa dalla St Paul Girl la scuola londinese che frequentava, dopo aver partecipato a Corte al ballo delle debuttanti, inorridita da quell’esperienza, per contrasto decise di lavorare come domestica nelle lussuose abitazioni della high society e poi come infermiera. Conoscere la vita, fu questo il motto di Monica Dickens che lavorò anche nel mondo della carta stampata e da buona osservatrice ne trasse un libro gustoso come questo, dove l’io narrante è la simpatica e scombinata Poppy, aspirante reporter. La redazione del Downingham Post era composta da cinque giornalisti che lavoravano in una caotica stanza dove

“scrivevamo e discutevamo e ridevamo alle barzellette sporche, e bisticciavamo e facevamo le nostre chiamate private e ci vantavamo riguardo a cosa avremmo detto al direttore per chiedere un aumento”.

Il direttore, il signor Pellet, era un uomo basso e corpulento,

“senza girovita, senza collo e senza elasticità alle caviglie”.

Poppy era piuttosto spaventata da lui. Nessuno degli altri redattori lo era, forse perché gli altri, fortuna loro, erano consapevoli di conoscere il proprio mestiere e sapevano che Mr Pellet aveva bisogno di loro. Poppy invece non conosceva il lavoro e quindi il direttore non aveva bisogno di lei. Però quando il direttore si sentiva ben disposto, diceva a Poppy che in dieci anni se avesse eseguito quanto le veniva detto, forse avrebbe potuto essere una giornalista di qualche utilità. Il pensiero che dieci anni dopo la giovane si sarebbe potuta ancora trovare a Downingham in un settimanale di provincia a scrivere notizie sui concerti dell’istituto femminile e sui mercatini di beneficenza scolastici non era per nulla entusiasmante. Poppy doveva solo scrivere su frivoli argomenti femminili: moda, matrimoni e funerali locali, pettegolezzi sulla mondanità degli abitanti del luogo. Inoltre Poppy doveva premurarsi di riempire i calamai, raccogliere le bozze, lavare la tazza del giorno prima nell’acqua fredda e mettere su del tè. Sarebbe mai riuscita l’intrepida Poppy a realizzare uno scoop?

“Giornalisti, pensai. Non sanno mai cosa accade proprio sotto al loro naso. Io invece sì. Ero stata sul pezzo e avevo ottenuto una storia che li avrebbe fatti ingelosire tutti”.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mio turno per il tè

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