Disponibile su Netflix La figlia oscura (2021) ( The Lost Daughter, Ndr) l’adattamento cinematografico di Maggie Gyllenhaal dell’omonimo romanzo di Elena Ferrante pubblicato da edizioni E/O nel 2006.
Come se non bastasse la proverbiale fama dell’autrice e l’acclamato esordio alla regia di Gyllenhaal (celebre attrice e sorella del noto Jake Gyllenhaal), la pellicola si avvale anche di un cast d’eccezione: l’attrice premio Oscar Olivia Colman (indimenticabile protagonista de La favorita, Ndr), Jessie Buckley, Dakota Johnson e Alba Rohrwacher.
La figlia oscura, è stato osannato dalla critica, vincendo anche tre Independent Spirit Awards 2022 come Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Miglior film.
La pellicola ha conquistato la giuria della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, vincendo il premio per la Miglior sceneggiatura non originale. La figlia oscura ha inoltre trionfato come Miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura ai recenti Independent Spirit Awards.
Scopriamo trama e trailer del film, oltre a un approfondimento sul libro nel quale troviamo riproposte importanti tematiche ferrantiane, tra cui il tema del doppio, la maternità vissuta come “peso e obbligo” e, infine, il simbolismo delle bambole.
“La figlia oscura”: una recensione del film
La figlia oscura, l’esordio cinematografico alla regia di Maggie Gyllenhaal tratto dal libro di Elena Ferrante, tocca un nervo scoperto, ma lo fa con delicatezza.
Di rado viene descritto il lato oscuro della maternità, vissuta come peso o obbligo o persino come fastidio, appare come un tabù inconfessabile. Forse si pensa, ma non si dice, si scaccia dalla mente, si allontana come un pensiero molesto.
Invece Maggie Gyllenhaal lo dice, portando sullo schermo tutta la forza introspettiva della storia di Elena Ferrante: un romanzo perturbante, fortemente psicologico, che certo non si prestava a un facile adattamento cinematografico. Gyllenhaal riesce a trasformare la narrazione ferrantiana in materia emotiva, lo fa trasponendo le parole (inconfessabili) negli sguardi, nei gesti, nei corpi delle protagoniste che parlano attraverso una gestualità istintiva, a tratti quasi erotica. Una donna più anziana e una donna più giovane, Leda e Nina, si confrontano, loro malgrado, sulla maternità. Leda vede in Nina la giovane madre che è stata; Nina, confusa e smarrita, domanda a Leda conferme, consigli, in cerca di una continua, disperata, rassicurazione. “Quando finisce?” domanda a un certo punto la ragazza esasperata, le mani nei capelli. Non c’è allusione a cosa si riferisca, le frasi vengono lasciate a metà, volutamente incomplete: sono gli sguardi a parlare - e allora lo spettatore sa, capisce. Ed è allora che Leda risponde, dopo una lunga e profonda occhiata: “Non finisce”.
Perché il film di Maggie Gyllenhaal traduce dal lessico ferrantiano una frase che suona come un comandamento e la rende vera, concreta:
La maternità è una responsabilità schiacciante.
Non tutte le donne devono essere madri, sembra suggerire tra le righe La figlia oscura; è bene essere consapevoli di questo, esistono anche altre maniere e modi di realizzarsi. Le protagoniste sono entrambe sopraffatte da questa responsabilità che a tratti sembra annientarle come individui. Mettendo in luce il lato oscuro della maternità in una trama thriller e a tratti inquietante, si rivela un segreto antico come il mondo: la maternità è un’esperienza diversa per ciascuno, è un’esperienza personale, non esiste solo la maternità felice e gioiosa che la società tende a mettere sull’altare. Liberarsi dall’equazione antiquata donna=madre è un passo avanti; Ferrante lo fa e lo dice, rivendicando l’indipendenza della donna dalla sua prole. Maggie Gyllenhaal riesce a rendere meravigliosamente questa contraddizione, questa ambiguità sullo schermo, mostrandoci sentimenti contrastanti, laceranti, mentre il volto delle attrici passa dal pianto al riso e poi di nuovo al pianto in un baleno.
Negli occhi malinconici e scuri di Olivia Colman c’è quel vago senso di minaccia, l’idea (indicibile ma reale) che la maternità possa essere una forma di deprivazione e non solo di completamento o di estensione del sé.
“La figlia oscura”: la trama del film tratto dal libro di Ferrante
Durante una vacanza al mare in solitaria, Leda (Olivia Colman, Ndr), una professoressa universitaria di mezza età, rimane affascinata e rapita da una giovane madre e dalla sua figlioletta mentre le osserva sulla spiaggia.
Turbata dal loro irresistibile rapporto, Leda è sopraffatta da un turbine di ricordi che le riporta i sentimenti di terrore, confusione e insicurezza provati nelle prime fasi della maternità. Un gesto impulsivo sconvolge Leda e la proietta nel labirinto oscuro della propria mente costringendola ad affrontare le proprie scelte passate e, soprattutto, le loro conseguenze.
Il riconoscimento speculare nella figura di Nina (Dakota Johnson, Ndr), la ragazza incontrata in spiaggia, spingerà Leda a cercare di cercare di fare della vita della giovane una replica della sua.
Nel tentativo di salvare Nina da una relazione che giudica tossica e dannosa, Leda si troverà a rivalutare tutta la propria vita e, in particolar modo, le decisioni da lei stessa compiute come moglie e madre.
La donna in particolare riflette su quali siano state le conseguenze delle sue scelte per la famiglia e si ritrova cosi immersa in un viaggio nei meandri della propria mente, che la costringe ad affrontare il suo passato e capire davvero quale sia il suo rapporto con la maternità. Un’esperienza difficile, trasformativa, cangiante che può rivelarsi profondamente diversa per ogni donna.
“La figlia oscura”: il libro di Elena Ferrante
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Gli amanti della saga de L’amica geniale troveranno molti punti di contatto tra la tetralogia ferrantiana e l’opera precedente, La figlia oscura per l’appunto.
Come non vedere in Leda, e nel suo misterioso passato che emerge tramite una serie di flashback, un riflesso di quella che è la vita adulta - di moglie e di madre - di Elena Greco?
Sono molte le tematiche che collegano i due libri mostrando la forte impronta autoriale della scrittrice. Viene da pensare che Ferrante abbia fatto appello allo stesso bagaglio autobiografico di esperienze e di ricordi nella scrittura dei suoi romanzi.
Anche ne La figlia oscura torna infatti la “bambola”, argomento iniziatico nel primo capitolo de L’amica geniale, ed eterno oggetto di contesa. Il mistero del no-sense si accompagna al tema del doppio: così come Elena si rispecchia in Lila, così Leda si riflette nella giovane Nina nella quale coglie un’immagine distorta e irraggiungibile di sé stessa.
Difficile non vedere in Bianca e Marta, le figlie ormai adulte di Leda, un pallido riflesso di Adele ed Elsa, le figlie di Elena. Un gioco di intrecci annoda il romanzo del 2006 alla saga successiva proiettandoci nel cuore dell’officina letteraria - o forse, nella Frantumaglia - della Ferrante scrittrice che sembra lottare sempre contro gli stessi demoni affrontandoli a colpi di parole.
La bambola ancora una volta richiama suggestioni oniriche e presenze ancestrali, desideri e sogni, ambizioni e paure in un simbolismo neppure troppo occulto. Ne La figlia oscura la vediamo addirittura nella copertina del libro che le restituisce la meritata centralità che acquisisce nell’intera vicenda.
In questo libro troviamo forse una Elena Ferrante prima del fenomeno Ferrante, ma i temi, gli incubi, le ossessioni e i nodi impossibili da sciogliere sono innegabilmente i suoi. Sua è la frantumaglia che compone le nevrosi e le smarginature dei personaggi.
Ancora una volta la Ferrante ci parla di maternità, ma di una maternità distorta e complessa che mette in discussione la donna e non la onora.
Segue un finale perturbante, al quale l’autrice della saga de L’amica geniale ci ha ormai abituato, lasciandoci molti dubbi e poche risposte.
“La figlia oscura”: il trailer italiano del film
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La figlia oscura”, il film tratto dal romanzo di Elena Ferrante: trama e recensione
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