Autori russi e censura. È l’inizio di una lunga storia sulla quale si potrebbero spendere pagine e pagine, scrivere interi saggi di storia e critica letteraria, e ancora non sarebbe abbastanza per descrivere il travagliato percorso di alcune meravigliose opere entrate a pieno diritto nel canone della letteratura mondiale.
Gli scrittori russi infatti sono divenuti autentici modelli letterari, monumenti viventi alla letteratura, basti pensare a Dostoevskij, Pasternak, Bulgakov, autori che non hanno bisogno di ulteriori presentazioni. Eppure, a dispetto della fama eterna di cui godono oggi, questi grandi scrittori spesso dovettero subire pressioni e ingiustizie da parte dei regimi del proprio tempo. La storia della letteratura russa, suprema autorità in ambito letterario, si annoda infatti strettamente al concetto di censura fin dalle origini.
La censura di Dostoevskij: un caso politico
Oggi la parola “censura” torna a far tremare il mondo proprio mentre gli equilibri internazionali sono scossi dalla guerra nel cuore dell’Europa. Fedor Dostoevskij, a centoquaranta anni dalla morte, dapprima censurato in un corso universitario e poi riabilitato, diventa l’emblema del patrimonio culturale russo e, non solo, il simbolo stesso della cultura mondiale. La censura, poi ritrattata di Dostoevskij, ha posto i riflettori su un problema a lungo ignorato. Il paradosso dell’Occidente che tenta di proibire un autore che fu condannato a morte in patria, nel lontano 1849, per la sua avversità al regime riapre una ferita ancora sanguinante.
La censura non uccise Dostoevskij in vita e non lo farà certo in morte, ma non è questo il punto. Adottando la censura del grande scrittore russo il mondo occidentale metteva in discussione i principi basilari della società democratica, seguendo quindi lo stesso schema deprecabile del “nemico”.
La storia della censura sovietica
L’Unione Sovietica negli anni venti e trenta diventò luogo ostile a scrittori e poeti. Qualcuno, come Marina Cvetaeva, fuggì all’estero; qualcun altro, come Michail Bulgakov, dopo aver raggiunto, fu sottoposto a feroce censura in patria. Majakovskij, il grande cantore della Rivoluzione d’Ottobre, fu spinto al suicidio nel 1930: in quella decade molti intellettuali finiranno nei gulag o fucilati, oppure saranno semplicemente cancellati in una sorta di damnatio memoriae promossa dal regime.
L’Urss costrinse numerosi intellettuali, pensatori, filosofi, scrittori all’esilio e altrettanti di loro furono perseguitati - addirittura torturati e seviziati - dal regime comunista. E la stessa sorte toccò ai loro romanzi, quante opere ebbero una storia editoriale travagliata a causa della censura sovietica?
Per fare un po’ di chiarezza ripercorriamo 5 celebri casi di autori russi censurati in patria.
1. Michail Bulgakov
Un caso celebre è rappresentato Michail Bulgakov, nato a Kiev nel 1891 e morto a Mosca nel 1940.
Oggi è considerato uno dei più grandi autori del Novecento, tuttavia non ebbe vita facile nell’epoca in cui visse. L’ultima parte del suo primo romanzo La guardia bianca fu censurata dal regime sovietico.
Ne La guardia bianca curiosamente Bulgakov narrava l’assedio di Kiev, concentrandosi in particolare sul turbolento periodo che la città attraversò tra il 12 dicembre 1918 e il 3 febbraio 1919, quando fu occupata dalle forze militari.
La narrativa di Bulgakov generava il disappunto delle autorità e anche altri suoi libri furono contestati dal regime a causa dell’ambigua rappresentazione dell’“homo sovieticus”. Ma a pagare il prezzo più pesante della censura fu il libro-capolavoro Il Maestro e Margherita che fu pubblicato per la prima volta in edizione integrale il 29 dicembre 1966, ben ventisei anni dopo la morte dell’autore.
2. Vasilij Grossman
Stessa sorte toccò a Vasilij Grossman che non riuscì a pubblicare in patria la sua monumentale opera Vita e destino, poiché il libro a giudizio del regime poneva sullo stesso piano la violenza dei lager nazisti con quella dei gulag comunisti.
Nel febbraio del 1961 due agenti fecero irruzione nell’abitazione dello scrittore e gli confiscarono il manoscritto originale, oltre alle copie carbone, le minute e persino i nastri della macchina da scrivere.
La tirannia della censura colpì lo scrittore anche dopo la sua morte: i seguaci del regime fecero infatti il modo di eliminare ogni riferimento all’opera dai necrologi dedicati allo scrittore.
Per la prima edizione russa dell’opera bisognerà attendere il 1989. Grossman era morto nel 1964.
3. Boris Pasternak
Altrettanto clamoroso è il caso di Boris Pasternak, autore de Il dottor Zivago, che a causa delle minacce del regime sovietico fu costretto a rifiutare persino il premio Nobel per la Letteratura.
In Italia il capolavoro di Pasternak fu pubblicato nel 1957 dall’editore Giangiacomo Feltrinelli. Venuto a conoscenza dell’esistenza de Il dottor Zivago, Feltrinelli fece di tutto per pubblicare il libro. Feltrinelli riuscì a far uscire clandestinamente il manoscritto dalla Russia e farlo arrivare a Milano. Qui pubblicò la prima traduzione italiana del romanzo nel novembre 1957.
Il dottor Zivago fu pubblicato legalmente in Russia solo nel 1988, durante gli anni delle riforme promosse da Gorbačëv. Nel 1989 il figlio dell’autore Evgenij Pasternak si recherà in Svezia per ritirare il premio assegnato al padre 31 anni prima.
4. Marina Cvetaeva
La poetessa russa Marina Cvetaeva si impiccò nella sua casa di Elabuga, il 31 agosto del 1941. Era tornata in Unione Sovietica due estati prima; poco prima che il regime le arrestasse la figlia Ariadna e il marito.
Lo scoppio della Rivoluzione Russa aveva gettato Cvetaeva nella più totale povertà, il marito della poetessa, Sergej, si era arruolato nell’Armata Bianca in contrasto con Stalin.
Fermamente antisovietica la poesia di Marina Cvetaeva fu censurata in patria. Anche sulla sua morte continua ad aleggiare un’ombra di mistero. Pare che la sorella di Marina, Anastasja, avesse ricevuto la visita di alcuni agenti del KGB che gli chiesero di firmare degli atti che mantenessero segreta la notizia della morte di Cvetaeva.
Oggi l’opera poetica di Marina Cvetaeva è considerata una delle più illuminanti testimonianze patriottiche di resistenza al regime di Stalin.
5. Anna Achmatova
Un analogo muro di silenzio fu costruito attorno all’opera di Anna Achmatova, una delle maggiori poetesse russe. La censura si abbatté sulle opere di Achmatova per oltre trent’anni.
Soltanto dopo la morte di Stalin, Anna Andreevna Achmatova fu formalmente riabilitata, ma ancora non ebbe diritto piena libertà di parola. Le sue poesie continuarono a non essere pubblicate oppure a essere inserite in qualche edizione antologica a tiratura limitata. La sua opera più importante, Requiem (dedicato al figlio imprigionato, Ndr), continuò a circolare clandestinamente in Russia per anni.
Requiem era stato tra i primi testi a circolare nelle edizioni clandestine e ciclostilate (dette “samizdat”, Ndr), alimentando il movimento sotterraneo del dissenso. Per rivedere l’opera poetica di Anna Achmatova pubblicata in Russia bisognerà attendere il 1987.
Le storie di questi autori dimostrano ancora oggi che la censura non è mai una storia antica, ma una drammatica eventualità che potrebbe ripetersi per motivi politici, sociali oppure bellici come dimostrano i fatti degli ultimi giorni. Per dare un vero significato alla parola “Pace” bisogna partire dalla cultura sempre. E una prima forma di attenzione necessaria, in questo senso, consiste nel considerare gli autori russi come parte necessaria e imprescindibile della letteratura e del patrimonio culturale mondiale.
Possiamo imporre sanzioni contro la Russia e persino combattere una guerra, diplomatica, a colpi di sanzioni. Ma censurare un libro e un autore, mettere al bando un’opera frutto dell’intelletto di un essere umano, non è mai la soluzione, certamente non è la strada da intraprendere per porre le basi di un futuro fondato sulla libertà e l’unione tra i popoli.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Autori russi e censura: i 5 casi più celebri
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