Neanche l’audio pessimo, che spesso non consentiva di seguire correttamente i dialoghi, ha impedito alla fiction su Rai 1 Leopardi. Il poeta dell’infinito di ottenere il successo di pubblico che meritava.
Per fortuna osiamo dire, in quanto l’accurato lavoro di ricostruzione biografica e storica, nonché l’impeccabile scenografia capace di catapultare lo spettatore in una perfetta ricostituzione dell’Italia di inizio ’800, era degno di una platea in grado di apprezzarlo.
La miniserie di Sergio Rubini, trasmessa da Rai Uno in due prime serate, ci restituisce un ritratto inedito di Giacomo Leopardi, almeno dal punto di vista cinematografico e televisivo, finalmente aderente al vero e lontano dal comune stereotipo che vede Leopardi come un uomo eternamente depresso e insoddisfatto.
Regista e sceneggiatori hanno cercato di evidenziarne la genialità assoluta, nonché la personalità sfaccettata e complessa, accennando appena ai malanni fisici che pure lo afflissero, ma che non ne minarono mai la mente e non ne condizionarono più di tanto il pensiero.
Una scelta giusta, che rende merito al poeta di Recanati fornendoci di lui l’immagine più autentica fra tutte quelle finora presentate sul piccolo e sul grande schermo.
L’infanzia felice di Leopardi e il rapporto complicato con i genitori
Personalmente ho apprezzato l’idea di Rubini di dare ampio risalto all’infanzia del poeta, che egli stesso ricorda con malinconia come il periodo più felice, o forse l’unico felice, della propria breve esistenza. Secondo le fonti a nostra disposizione, da bambino Leopardi fu all’incirca come viene descritto nella fiction: allegro, burlone, ribelle e insofferente alle rigide regole imposte dagli adulti e dai canoni educativi all’epoca in vigore.
In Leopardi. Il poeta dell’infinito si evidenzia lo stretto legame con i fratelli Carlo e Paolina, con i quali il futuro letterato visse praticamente in simbiosi condividendone studi, interessi e giochi, così come il genio precocissimo e fuori dal comune che sbalordiva pedagoghi e familiari.
Il piccolo Leopardi era già un poliglotta appassionato di lettere, scienze e, se possibile, di tutto lo scibile umano, ma ciò non gli impediva di godere appieno della gaiezza tipica dell’età più verde, le cui sensazioni ed esperienze custodirà dentro di sé per sempre, attingendo proprio dallo scrigno dei ricordi più belli la forza per ingentilire e superare in seguito le amarezze della vita adulta.
Decisamente più complicato il rapporto con i genitori.
La miniserie è legittimamente benevola con il conte Monaldo, che seppur severo come la generazione e il rango di appartenenza imponevano, fu per Giacomo un padre per quanto possibile presente e sinceramente amorevole.
L’eccessiva rigidità che a volte mostrò nei suoi confronti, a lungo fraintesa, era dovuta principalmente alla consapevolezza delle precarie condizioni di salute del figlio, che lontano da casa era maggiormente esposto a pericoli.
Dunque Monaldo, uomo colto e sotto diversi aspetti ben più moderno di tanti suoi contemporanei, fu soprattutto un genitore affettuoso e comprensibilmente apprensivo, a differenza della moglie, che le cronache, e Leopardi stesso, dipingono fredda e anaffettiva.
Al contrario di quanto accade nel film di Mario Martone Il giovane favoloso (2014) dove la presenza della donna assume una funzione preponderante che ne sottolinea il pesante e negativo condizionamento sulla formazione caratteriale ed umana del figlio, Leopardi. Il poeta dell’infinito tratta superficialmente la figura di Adelaide Antici, limitandosi a mostrarne la quasi patologica aridità sentimentale, la ristrettezza mentale e il tenace bigottismo.
In tal modo la sua interprete Valentina Cervi non deve sforzarsi troppo per rendere efficacemente il personaggio, mentre Alessio Boni nel ruolo di Monaldo porta in scena, a mio avviso, la sua migliore performance attoriale fino ad oggi.
Un Leopardi senza gobba: la malattia c’è, ma non prevale. Il genio al di là e al di sopra delle difficoltà
Per quanto possa sembrare pazzesco e persino ridicolo, la ricerca più frequente su Google in riferimento al poeta è se Leopardi avesse davvero o no la gobba.
Bene ha fatto allora Rubini a decidere di rappresentarlo (finalmente!) senza la rinomata gibbosità sulla schiena che nulla toglie o aggiunge, come è ovvio, al suo innato e ineguagliabile talento.
Una scelta atipica che il regista, nel corso di un’intervista, ha motivato con le seguenti parole:
"In realtà più che la morfologia del corpo di Leopardi mi interessava raccontare la morfologia del suo pensiero. E di quest’ultimo quella sua perenne attenzione verso la bellezza e la vita. Poi volevo anche mettere in luce la sua comicità. In realtà è stata una figura tirata per la giacchetta da tutti: c’è chi l’ha visto come un poeta patriottico, i marxisti invece lo hanno considerato un nichilista sbagliando di grosso. Leopardi non era un ’senza Dio’, ma casomai soffriva la sua assenza".
Dunque Leonardo Maltese, forse ancora un po’ immaturo come attore ma certamente promettente, porta in scena non tanto un Leopardi nuovo quanto per la prima volta veritiero perché, come Rubini ha specificato:
"non ho raccontato un Leopardi diverso, ho solo detto che era davvero diverso e non quella figurina da Presepe in cui spesso lo si racchiude".
Nulla di più lontano dall’interpretazione di Elio Germano ne Il giovane favoloso che rappresenta e racconta un poeta recanatese piagato dalla malattia fino al limite della caricatura irriverente (come pure certa critica non ha mancato di sottolineare).
Il triangolo amoroso Leopardi/Fanny/Ranieri, l’ombra dell’omosessualità e la chiacchierata amicizia con l’esule napoletano
La seconda parte della miniserie è pressoché totalmente incentrata sulle dinamiche occorse all’interno del singolare triangolo amoroso instauratosi fra Giacomo, Fanny e Antonio Ranieri.
In breve Leopardi si innamora di Fanny Targioni Tozzetti, la quale nutre una cocente passione per Antonio Ranieri, amico fraterno del poeta; l’esule napoletano, pur attratto dalla bella nobildonna, cerca di resistere alle sue lusinghe per non far soffrire il sodale.
Come i bene informati sanno, Fanny, che ispirò il Ciclo di Aspasia, non ricambiò mai i sentimenti di Leopardi e divenne una delle numerose amanti di Ranieri.
La fiction affronta con una certa delicatezza tale tematica intima e pertanto destinata a restare in larga misura misteriosa, fornendo una raffigurazione decisamente lusinghiera dei personaggi, in realtà controversi.
L’ex Miss Italia Giusy Buscemi dà volto ad una Fanny meno frivola di come le cronache e le testimonianze a lei coeve ce la rappresentano, mentre Cristiano Caccamo è impeccabile nel delineare Ranieri come il viveur dall’aria guascona che tutti ci figuriamo nella mente.
Nessun accenno alle controversie sorte intorno alla sua persona e alla vera natura del legame, ad ogni modo profondo, che instaurò con Giacomo.
Nella miniserie è l’amico che chiunque di noi vorrebbe, devoto e costantemente al fianco di Leopardi sino alla fine.
Unica nota leggermente hot e fuori dagli schemi è il fugace bacio che i due si scambiano in una scena, senza tuttavia alcun seguito; un chiaro riferimento alla presunta omosessualità adombrata già dai contemporanei, ma che alla luce delle successive ricerche sembra essere stata solo una chiacchiera senza fondamento (non si comprende quale sia la posizione di Rubini e degli sceneggiatori nel merito).
Del resto, per ammissione degli autori stessi, Leopardi. Il poeta dell’infinito intende porre al centro della scena l’essenza umana ed artistica del poeta marchigiano, marginalizzando contesti e presenze pure importanti.
Un’operazione riuscita e un’ulteriore dimostrazione di come Leopardi ci appartenga e di quanto sia facile amarne il genio fragile e sublime.
Una recensione di “Leopardi. Il poeta dell’infinito”: cosa è piaciuto e cosa no a un’ex docente di lettere
di Elisabetta Bolondi
Ho letto con piacere l’articolo di Macioci sul nostro sito. Avevo letto anche la severissima intervista al critico televisivo Aldo Grasso che ha stroncato il lavoro di Sergio Rubini. Aggiungo qualche riflessione da docente di lettere nel triennio della scuola superiore.
Ho apprezzato molto la prima parte della fiction proposta da Rai 1: l’infanzia del primogenito di casa Leopardi con Carlo e Paolina, i giochi, la severità dei genitori, la biblioteca paterna, lo sguardo del bambino verso l’esterno che gli è negato, l’ispirazione che gli viene dai personaggi del paese e dal panorama recanatese, che diverranno poesie immortali (Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, A Silvia, ecc).
Mi è piaciuto anche il rapporto controverso di Giacomo con la cultura del tempo: Pietro Giordani, Niccolò Tommaseo, il Gabinetto Vieusseux a Firenze; una ricostruzione interessante che dimostra come Giacomo fosse un poeta autonomo, originale, profondissimo, non sempre allineato alla ideologia dominante, al patriottismo esuberante di tanti liberali di allora.
Ho apprezzato meno invece la seconda parte del lavoro: il triangolo amoroso tra Fanny Targioni Tozzetti, l’amico Ranieri e lo stesso Giacomo mi è sembrato arbitrario, poco realistico e non certo utile alla comprensione del dramma interiore di un uomo grande ma fragile quale fu Giacomo che morì a soli 39 anni.
Sulla figura di Antonio Ranieri si è molto discusso, sul suo legame col poeta altrettanto, ma la parte finale del racconto del regista Rubini, pur bravo nella ricostruzione di ambienti e atmosfere, non mi ha convinto né mi è sembrata utile a far comprendere la sofferenza per la privazione d’amore di cui Giacomo soffri per tutta la vita.
Concordo con la dichiarazione del regista Rubini quando afferma l’importanza di rendere disponibile al grande pubblico la conoscenza del nostro più grande poeta grazie ad uno strumento popolare come la televisione/ servizio pubblico, ma avrei scelto più brani e riflessioni di Leopardi, da affiancare alla sua storia privata, che invece sono solo accennati solo superficialmente. La Ginestra, alcune delle Operette morali, Il canto notturno del pastore errante dell’Asia sono capolavori tali da meritare di essere resi pubblici alla platea televisiva che forse non li ha mai letti o ascoltati.
Comunque scenografia, costumi, arredi, ricostruzioni di ambienti sono accurati e utili alla comprensione del clima storico e politico del primo ’800 e dunque da questo punto di vista una operazione interessante.
Originale l’inserimento di Donizetti al pianoforte che accompagna la cantante Marianna che interpreta un brano dello stesso Leopardi, che si conquista una standing ovation nel teatro napoletano: certamente un’invenzione, ma efficace per rendere l’importanza della cultura napoletana del tempo, fatta di musica, teatro, letteratura, filosofia, poesia.
- Avete visto la serie tv? Che ne pensate? Fatecelo sapere nei commenti!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il genio fragile e sublime di Leopardi: un’analisi della fiction “Leopardi. Il poeta dell’infinito”
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