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Recensioni di libri

Vite immaginarie di Marcel Schwob

In un percorso che va dall’antica Grecia fino ai sobborghi di una città dell’800, incontriamo personaggi storici e altri immaginari. Piccole biografie inventate senza che il lettore percepisca il tempo e lo spazio.

Teresa D'Aniello
Teresa D’Aniello Pubblicato il 09-09-2014

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Vite immaginarie

Vite immaginarie

  • Autore: Marcel Schwob
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Adelphi

Vite immaginarie è l’opera capolavoro di Marcel Schwob, scrittore eclettico, filologo e drammaturgo francese della fine dell’800.
Un testo letterario di grande suggestione scritto quando l’autore aveva poco più di trent’anni ed era consumato nel fisico da una malattia che lo teneva spesso chiuso in casa. Lettore instancabile e bibliomane, le cronache del tempo ricordano tra l’altro la stanza dove riceveva i suoi ospiti: piena di libri, dal forte odore di chiuso e i pregiati fogli di carta sottilissimi, di filo, sui quali scriveva di getto con il suo pennino senza commettere errori e con lo specchio posto sul caminetto ricoperto di pezzi di carta.

Cresciuto in una casa dove i libri erano il pane quotidiano, con lo zio che lavorava presso la Bibliothèque Mazarine e il padre diplomatico e anch’egli scrittore (amico di Flaubert, Baudelaire e Verne), il giovane Marcel amava le lingue antiche e moderne, i testi filosofici e quelli di astrologia, ed era appassionato e curioso tra l’altro di scienze occulte. Quasi tutte le sue opere furono scritte in un decennio, fra i venti e i trent’anni. Per molti autori, suoi contemporanei e non, Marcel Showb possedeva la capacità di creare mondi immaginari senza tempo, l’immaginaria cogitazione dello scrittore. Ancora giovane, gli fecero omaggio Paul Valéry, dedicandogli la sua prima opera, e Oscar Wilde, con l’opera The Sphinx.

Vite immaginarie fu scritto poco prima che la malattia lo conducesse alla morte, un male accanito che lo fece patire tanto ma che non ne fermò la genialità. In un percorso che va dall’antica Grecia fino ai sobborghi di una città dell’800, incontriamo personaggi storici e altri immaginari. Piccole biografie inventate senza che il lettore percepisca il tempo e lo spazio. Infatti l’esclusione del tempo permette il compiersi della storia con la centralità del dramma del protagonista e le sue caratteristiche.

“L’arte del biografo consiste appunto nella scelta. Egli non deve preoccuparsi di essere veritiero; deve creare in un caos di tratti umani. Leibniz dice che Dio per fare il mondo ha scelto, tra i possibili, il migliore. Come una divinità inferiore, il biografo sa scegliere, tra i possibili umani, quello che è l’unico. Si deve ingannarsi sull’arte non più di quanto Dio non si è ingannato sulla bontà. È necessario che l’istinto, in entrambi, sia infallibile. Demiurghi pazienti hanno radunato, per il biografo, idee, movimenti di fisionomia, avvenimenti. In mezzo a questo grossolano insieme, il biografo vaglia ciò che può comporre una forma che non assomigli a nessun’altra.”

Leggiamo, quindi, della vita immaginaria di Empedocle, poeta guaritore, dell’incendiario Erostrato, dei romani Lucrezio e Clodia con le loro passioni amorose, del pittore Paolo Uccello, dell’irriverente Cecco Angiolieri, della merlettaia Katherine, per poi concludere con gli assassini sig. Burke e sig. Hare, noti come ladri di cadaveri.

“In quei primi anni del secolo, i medici studiavano l’anatomia con passione; ma a causa dei principi religiosi, avevano molte difficoltà a procurarsi i soggetti da sezionare. Il Sig. Burke, spirito illuminato, s’era reso conto di questa lacuna nella scienza. Non si sa come, strinse conoscenza con un venerabile e sapiente chirurgo, il dottor Knox… che divenne celebre fra i colleghi per la sua scienza anatomica. Il sig. Burke e il Sig. Hare misero a profitto la vita, da dilettanti. A questo punto, dissentendo con la maggior parte dei biografi, lascerò i signori Burke e Hare in mezzo alla loro aureola di gloria. Perché distruggere un così bell’effetto d’arte, conducendoli stancamente sino al termine della loro carriera, rivelando le loro debolezze e le loro delusioni? Non bisogna immaginarli in altro modo mentre vagano nelle notti di nebbia. Poiché la fine della loro vita fu volgare e simile a tante altre.“

Umanista erudito e filologo di acuta intelligenza, Marcel Schwob era capace, con una scrittura dotta e ricercata, di evocare atmosfere fantastiche tanto quanto quelle di un realismo perfettamente irreale. Non a caso il suo simbolismo e i temi del fantastico sono stati modello di riferimento per il grande scrittore del Novecento, Jean Louis Borges e tante sono difatti le analogie che li accomunano.
Gustavo Botta, un importante critico letterario del Novecento, nel suo saggio su Marcel Schwob del 1957 scriveva:

Artista eccellente… poche pennellate sapienti, pochi tocchi magistrali manifestano una figura, un’anima, un paesaggio compiutamente. Al primo comparire i personaggi danno già l’illusione di una loro vita particolare, e vivono con tanta intensità poi nel corso del racconto, che uno difficilmente li può dimenticare.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vite immaginarie

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