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Recensioni di libri

Vite che tornano di Esther Diana

Sampognaro&Pupi, 2020 - Un romanzo storico in cui l’antica credenza sulle nove vite dei gatti diviene l’occasione per rivivere le atmosfere del primo Novecento.

Lara Dipietro
Lara Dipietro Pubblicato il 05-08-2020
Vite che tornano

Vite che tornano

  • Autore: Esther Diana
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana

Il passato spesso ritorna. Accade nella realtà così come in letteratura, ma con una differenza: tra le pagine di un libro si può scegliere di farlo seguendo i binari della fantasia.
È quanto accade in Vite che tornano di Esther Diana (Sampognaro&Pupi, 2020), un romanzo storico in cui l’antica credenza sulle nove vite dei gatti diviene l’occasione per rivivere le atmosfere del primo Novecento.

Esther Diana, architetto, già direttrice del Centro di Documentazione per la Storia dell’Assistenza e della Sanità Fiorentina, è ora attiva nella Fondazione Santa Maria Nuova di Firenze. Autrice di molti testi riguardanti il patrimonio storico-artistico delle istituzioni sanitarie toscane, con Vite che tornano compie il suo esordio nel genere della narrativa.

Le pagine iniziali si leggono come una favola: durante una tranquilla mattina d’autunno, in una stanza ricolma di cuscini, quattro gatti sono acciambellati attorno alla stufa. Sembra una giornata come tante, ma non lo è. All’improvviso, infatti, accade qualcosa di straordinario: tre di loro cominciano a ricordare episodi di una vita che hanno già vissuto, ma da esseri umani…
Ha inizio così un appassionante racconto che da Venezia a Firenze, tra il 1907 e gli anni cinquanta del Novecento, rievoca le travagliate esistenze di Anita, suo figlio Ruggero e sua nuora Linetta.

La narrazione ruota principalmente attorno ad Anita; la quale, costretta fin da bambina ad accudire la madre inferma senza mai riceverne in cambio un gesto affettuoso, sviluppa un carattere fiero e possessivo che, una volta divenuta adulta, le impedisce di amare i suoi familiari senza opprimerli:

Una sera, relegata in camera mentre gli altri erano a tavola, Anita si chiese – e fu per la prima volta nella vita ‒ se non fosse lei l’elemento sbagliato, l’ingranaggio causa della fredda compostezza che, quand’erano riuniti a tavola, faceva sembrare artefatti qualsiasi discorso o battuta, fosse stata semplicemente quella di chiedere di passare un piatto. […] Forse l’amore che aveva elargito era stato un mare troppo impetuoso ed esclusivo che era sfuggito all’altrui comprensione. Avrebbe dovuto essere il suo un amore meno invadente, più composto? Ma lei non era così. Perché non lo avevano capito? Non bastava amare comunque?

Le turbolente vicende della sua famiglia si intrecciano con gli avvenimenti storici, specialmente con le due guerre mondiali. Le lettere dal fronte, le storie d’amore nate sotto i bombardamenti, la solidarietà tra le donne rimaste da sole: la grande Storia, filtrata attraverso la quotidianità della gente comune, diviene esperienza concreta che personaggi e lettore sperimentano insieme.

I tre gatti raccontano in terza persona e si esprimono con una lingua curata e scorrevole, improntata a una garbata semplicità. Chi legge sa che il romanzo storico è frutto del loro ricordo, ovvero che è pura fantasia, eppure, rapito dal realismo dell’ambientazione, finisce quasi per dimenticarsene.
La capacità di accostare due generi diversi, riuscendo a mantenerne intatte le caratteristiche, è una delle qualità del romanzo, così come il desiderio di rappresentare ogni pensiero taciuto, ogni legame tra l’animo umano e tutto ciò che lo circonda.

Lo sferragliare del treno assecondava il ritmo dei suoi pensieri; i paesaggi si susseguivano velocemente e, a volte, parevano fuggire spaventati, in sintonia con il sentire tumultuoso che le faceva spasimare il cuore. In questi attimi, si diceva che tutto si sarebbe aggiustato e che lei, come sempre, ce l’avrebbe fatta.

Vite che tornano

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vite che tornano

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