Tre giorni a Parigi di Mario Fortunato

Mario Fortunato sforna romanzi brevi, come questo “Tre giorni a Parigi”, con una scrittura calibrata e potente, condensata. D’altra parte scrivere di due grandi amori in cento pagine è cosa ardua, che presuppone sintesi e maturità stilistica.
Conosciamo Davide come ragazzo nato in Calabria che arriva nella capitale per trovare un lavoro. Di bell’aspetto, prestante, pigro per tener fede a orari, a divise, insomma un lavativo mirabolante che inizia a prostituirsi, come escort, per uomini d’affari, persone coi soldi. Lui ama le comodità, vuole dimenticare e, almeno in parte, ha già dimenticato tutto il mondo brullo e petroso delle sue origini, dove si mangia quello che hai raccolto e come unico svago c’è l’oratorio della parrocchia.

Mario, un suo cliente, comincia a diventare sempre più importante, tanto che Davide non vuole soldi da lui, anche se Mario glieli lascia di nascosto nella giacca. Davide riprende i suoi studi universitari, lascia il suo lavoro da escort, esce solo con Mario.
Mario gli aveva promesso un viaggio breve a Parigi e i due partono come amanti.
A Parigi non frega a nessuno se si prendono per mano o si danno casti baci, anche la forma mentis di Davide cambia: non si presenta più come un eterosessuale che ha dovuto subire le umiliazioni di un sesso omosessuale ma come l’innamorato di Mario.
Andarci con Lara, anni dopo, significa ritrovare i vecchi posti conosciuti con l’amante maschio, ma Lara è il futuro, forse la madre dei suoi figli.

Mario Fortunato ha un modo di scrivere sfrontato, senza moralismi: non è certo il libro ideale per "il buon padre di famiglia".
Capiamo benissimo che gatta ci cova, “Tre giorni a Parigi” è un romanzo assolutamente biografico, talmente tanto da non sembrarlo. (Davide e Lara sposi, ma quando mai in un libro di Fortunato si parla tanto di un amore eterosessuale?).