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Storia della letteratura

“Se durassimo in eterno”: Bertolt Brecht e il dono della mortalità in poesia

Una poesia breve come un aforisma e altrettanto fulminante. “Se durassimo in eterno” di Bertolt Brecht ci illumina con il bagliore di una verità suprema. Cosa accadrebbe se l'umanità fosse immortale? Il poeta e drammaturgo tedesco risponde, restituendo così senso e valore al nostro breve transito terrestre.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 09-05-2023
“Se durassimo in eterno”: Bertolt Brecht e il dono della mortalità in poesia

Nell’originale tedesco il titolo della poesia di Bertolt Brecht è Dauerten wir unendlich, letteralmente: “Siamo durati all’infinito”. Nella traduzione italiana si è optato per la soluzione Se durassimo in eterno che, attraverso l’uso dell’ipotetica, riassume la congettura alla base del componimento.
Si tratta di una poesia breve, folgorante, aforismatica. Brecht la scrisse attorno al 1955, impostandola più come una congettura, un esperimento di pensiero, che come una lirica.
Tutto è giocato sul forte contrasto tra il primo e il terzo verso “l’eternità” e il suo opposto “la mortalità”. Se fossimo infiniti, si chiede Brecht, ma contrappone subito all’ipotesi l’“arido vero”: siamo mortali. L’illazione brechtiana dischiude così, nello spazio di soli tre versi, un nuovo spazio di pensiero, apre una frontiera di possibilità.
Cosa voleva dirci il drammaturgo tedesco con la sua congettura poetica Se durassimo in eterno?

Scopriamone testo, analisi e commento.

“Se durassimo in eterno” di Bertolt Brecht: testo

Se durassimo in eterno
Tutto cambierebbe
Dato che siamo mortali
Molto rimane come prima.

“Se durassimo in eterno” di Bertolt Brecht: testo originale tedesco

Dauerten wir unendlich
So wandelte sich alles
Da wir aber endlich sind
Bleibt vieles beim alten.

“Se durassimo in eterno” di Bertolt Brecht: analisi e commento

Bertolt Brecht ha la capacità di racchiudere in una manciata di parole un ragionamento complesso che, in una conversazione normale, richiederebbe ore di dialogo. Si tratta di una riflessione esistenziale più che storica.
Il drammaturgo tedesco riesce a parlare di un argomento astratto e spirituale come l’eternità senza scomodare i massimi sistemi, componendo una poesia breve e perfetta strutturata come un aforisma, una sentenza lapidaria in grado di racchiudere l’esattezza folgorante di un punto di vista.
Brecht parte da una possibilità irreale e dalle sue ipotetiche conseguenze:

Se durassimo in eterno

In un tempo eterno, afferma il poeta, tutto potrebbe cambiare: perché la durata implica evoluzione e, dunque, cambiamento costante. Nulla rimane uguale in una vita lunga: l’esistenza stessa comporta cambiamento, il moto, non la stasi.
Per cui la conseguenza diretta dell’eternità è il cambiamento, “tutto cambierebbe” dice Brecht offrendoci una visione molto più acuta e decisamente meno salvifica del concetto di “eternità” che noi spesso tendiamo a confondere con una visione consolatoria, pacificante, paradisiaca e qui invece si accosta a un’ipotesi rivoluzionaria, caotica, a tratti inquietante.
Una durata infinita, secondo Bertolt Brecht, implicherebbe infatti il cambiamento totale di tutte le cose, esseri, vite e relazioni - o, se non altro, la possibilità di tale metamorfosi.
A questa ipotesi utopica l’autore oppone la Realtà che fa capolino nel terzo verso:

Dato che siamo mortali

La mortalità umana si scontra con il desiderio di Infinito e, di conseguenza, con la possibilità di cambiare tutto e porta con sé l’inevitabile delusione che ne consegue poiché non si tratta di una battaglia ad armi pari. L’essere umano anela al progresso, al miglioramento, al Futuro, ma deve scontrarsi con la propria ontologica finitezza, che lo impedisce.
Questo contrasto tra mortalità e desiderio di infinito è alla base della condizione umana e spesso è l’origine del nostro dolore, perché il nostro pensiero ci spinge verso il futuro, il bene, il bello, mentre la Realtà sembra costantemente tradirlo giungendo infine, con la vecchiaia, a privarci della promessa stessa del Tempo.
Brecht condensa questo ragionamento in una folgorante riflessione filosofica che ha in sé qualcosa di intimamente consolatorio: Siamo finiti, ci dice e questa affermazione non è una condanna a morte, ma la consapevolezza reale della limitatezza della nostre possibilità.

Costruendo le due ipotesi sulla base di uno schema parallelo Brecht toglie al concetto di eternità la sua forza e restituisce senso e significato al suo opposto spesso svilito, considerato debole, fragile e precario: la “mortalità”. Con un’affermazione immediata il poeta tedesco restituisce la priorità alla vita nel suo farsi e sgretola la visione falsamente dorata del “mito dell’Eterno”. Il breve spazio della nostra esistenza è l’unico luogo in cui il cambiamento è possibile e può essere realizzato.

Con dolcezza il poeta ci rammenta che nessun uomo è un Dio e, così facendo, stempera le nostre paure più feroci e, al contempo, sgonfia la formula parossistica dell’ego onnipotente: non potremo nuocere più di tanto né migliorare più tanto. “Molto” osserva Brecht dopo il nostro transito sulla terra “rimane come prima”, invariato. Si badi bene, però, che scrive “molto” e non “tutto”: attribuisce dunque al vivere mortale la capacità di operare in vista di un miglioramento, anche se piccolo, infinitesimale, ma non per questo meno significativo.
Anche se siamo “finiti” - come dice Brecht in tedesco con un’espressione più calzante - la nostra mortalità non ci impedisce di cambiare un poco le cose, soprattutto in tempi difficili.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se durassimo in eterno”: Bertolt Brecht e il dono della mortalità in poesia

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