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Scritti dal carcere. Poesie e prose di Bobby Sands

PaginaUno, 2020 - Un testo salvifico, dalla potenza civile inarrivabile, che arriva in libreria a cura di Riccardo Michelucci e Enrico Terrinoni.

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 14-10-2020
Scritti dal carcere. Poesie e prose

Scritti dal carcere. Poesie e prose

  • Autore: Bobby Sands
  • Genere: Storie vere
  • Anno di pubblicazione: 2020

Provo a evitare la retorica, sul taglio di denuncia non mi sento di promettere: detesto l’informazione paludata e rivendico il diritto di fare giornalismo militante se il libro merita, come nella fattispecie. Se questa premessa già non vi piace, smettete a questo punto e non leggetemi più. Il dissenso civile (se e quando ci vuole, e quasi sempre ci vuole) è viatico di una partecipazione vigile, vissuta a occhi e mente aperti. Un po’ come scrivere. Per se stessi e per gli altri, soprattutto se hai una fede da consegnare alla storia.
Bobby Sands la fede ce l’aveva, ed era una fede doppia: religiosa e politica. Nel fiore degli anni e per come ha potuto ha scritto tantissimo per sé e per gli altri. Repubblicani dell’IRA come lui. Fuori e dentro il Blocco H. dello stato britannico, monarchia e democrazia che convivono insieme in un sistema pluripartitico. L’ho detto prima: casso la tentazione retorica ma l’indignazione no, ed ecco quello che credo: credo che il concetto di democrazia (per come si è svilito, ed era già svilito all’epoca di Bobby Sands) si presta a una mistificazione di fondo, se è vero che i governi, sotto qualsiasi latitudine del mondo, finiscono con l’essere quasi sempre gestiti da incapaci egopatici. O peggio da burocrati genuflessi agli oligarchi-detentori del potere economico che edulcorano lo sfruttamento delle masse dietro il paravento di libertà indotte (obbligatorie, per dirla con l’ossimoro di Giorgio Gaber). Il capitale ha fatto del mondo una vasta prigione, una prigione senza celle apparenti, le gabbie ideali in cui siamo rinchiusi senza neanche accorgercene.

È così che per me stanno le cose, e ci stanno, lo ripeto, da ancora prima dei tempi di Bobby Sands, morto prigioniero, a seguito di uno sciopero della fame protratto troppo a lungo. Non voleva che la sua lotta politica venisse ridotta ad espressione di criminalità comune. La lunga citazione che segue è estratta da Scritti dal carcere. Poesie e prose, che l’editrice PaginaUno manda in libreria, a cura di Riccardo Michelucci e Enrico Terrinoni. Leggete e studiate questo libro, fatelo vostro, imparatelo a memoria, perché si tratta di un testo salvifico, dalla potenza civile inarrivabile:

“Nessuna dannata menzogna ben congegnata o scusa contrita cancellerà mai la cicatrice incisa così a fondo nel cuore di mia madre, che ha visto cosa mi hanno fatto e continuano a farmi. Certo, ci sono i servizi igienici a disposizione di ciascun blanketman, ci sono anche docce, strutture sanitarie e un’ampia scelta di altri servizi – ma a quale prezzo sono stati ottenuti? Sempre alle loro condizioni, condizioni imposte da un branco di fanatici bigotti, la colonna portante di uno stato settario. “Svuota il tuo bugiolo se vuoi,” dicono, “ma solo nel modo in cui decidiamo noi!” “Va’ in giro nudo oppure indossa l’uniforme carceraria.” Conosciamo quell’atteggiamento. È lo stesso delle medesime autorità all’esterno: “Comprate un appartamento simile a una tomba a Divis Flats oppure vivete in strada,” dicono, “Lavorate per pochi spiccioli oppure non lavorate per niente e morite di fame.” E ancora, “Potete votare ogni quattro anni, e se non vi va bene peggio per voi, “questo è quello che dicono! Per fare reclamo nel Blocco H, dicono i secondini, “Scrivete il vostro nome per parlare con il direttore del carcere.” All’esterno è più o meno lo stesso, ovvero: “Andate a parlare con un membro del Parlamento”. Il risultato è analogo in entrambi i casi, poiché le condizioni abitative e la qualità della vita sono chiaramente visibili a Belfast e altrove, come all’interno del Blocco H. se fai un passo falso ti sbatto nei Blocchi H dove, se ti ribelli e ti rifiuti di essere criminalizzato, ti torturano per cercare ancora una volta di piegarti e di sottometterti”.

Se si considera che brani come questo il giovane Bobby Sands li scrive sui fogli improvvisati della carta igienica o delle cartine dei pacchetti di sigarette (più resistenti), il contenuto si connota di concetti assoluti. Lucidi. Dissidenti. Disalienanti. Con il valore aggiunto del pathos sottotraccia, dato che Sands scrive quanto scrive tra una sevizie carceraria e l’altra. Da martire annunciato, da oltraggiato, spesso da nudo, seppure al contempo da irriducibile. Presago della morte imminente e anche che la lotta per l’Irlanda repubblicana sarebbe proseguita dopo di lui.

Più o meno alla stessa età in cui i giovani figli della globalizzazione (i giovani contemporanei della fine del mondo libero) progettano selfie e aperitivi, Bobby Sands si arruola nell’IRA. Un amore smisurato per la patria e la giustizia sociale costituiscono il movente della scelta radicale. I suoi Scritti dal carcere ce lo rivelano rivoluzionario dalla schiena dritta. Un umanista acuto, poetico ma inflessibile, dotato di quella coerenza ideale senza deroghe, che lo accompagna fino alla morte.

“Immaginate come ci si può sentire nudi, rinchiusi per ventiquattro ore al giorno in una cella di isolamento, sottoposti alla totale privazione non solo delle cose ordinarie di tutti i giorni, ma delle fondamentali necessità umane come i vestiti, l’aria fresca, l’esercizio fisico, la compagnia di altri esseri umani. In altre parole. Immaginate di essere sepolti, nudi e solo per un giorno intero. Come sarebbe per venti strazianti mersi”.

Pagina dopo pagina, verso dopo verso, la parabola incontro alla morte di Bobby Sands si delinea con il passo di una via crucis, assecondando quasi una teleologia cristologica, non fosse che per il messaggio politico che non recede fino alla fine (ma, a guardar bene, anche Gesù viene ucciso per il messaggio politico di cui si fa portatore).
Bobby Sands muore giovane il 5 maggio 1981 nel carcere britannico di The Maze, a Belfast. L’aspetto che più colpisce della sua storia è che è una storia ignobile dell’altro ieri. Le vessazioni subite in carcere non riferiscono a un tempo lontano. Gli anni a cui riferiscono sono gli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta del secolo scorso: ciò dimostra la recidività di un Potere che si libera dei suoi figli ribelli con metodi identici a quelli dei poteri di ogni ogni tempo. I metodi detentivi attraverso cui Bobby Sands viene indotto alla morte ("lo Stato non tratta con un terrorista, meno che mai se irriducibile") non sono cioè prerogativa delle prigioni inglesi: si guardi alla storia carceraria degli anni di piombo, italiani e tedeschi (per esempio), per rendersene conto.
Gli Scritti dal carcere (in buona parte inediti) di Bobby Sands appaiono tradotti in italiano per la prima volta con prefazione di Gerry Adams. Parafrasando Luigi Tenco, nel suo lapidario biglietto di addio: mi auguro che la loro lettura serva a qualcuno.

Scritti dal carcere. Poesie e prose

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Scritti dal carcere. Poesie e prose

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