Scorze
- Autore: Georges Didi-Huberman
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Nottetempo
- Anno di pubblicazione: 2024
“Ho posato tre pezzi di scorze d’albero su un foglio di carta.
Ho guardato”.
Guardare attraverso occhi. Le cose.
Osservare con l’obiettivo della macchina fotografica. Che va oltre. Nel profondo. Quasi a scarnificare la realtà che fissa. Nei margini dell’inquadratura. Oltre l’occhio.
Oltre il visibile. Oltre il presente.
Spingendosi nel tempo e nello spazio, che può essere definito. Circostanziato. Lo stesso luogo. Limitato da pareti di cemento. Da sentieri. Da muri che portano “segni”. Da baracche che si intravedono nella nebbia. Umida e fredda in un inverno freddo dell’anima. In un ricordo che sembra diventare oblio. Ma che combatte. Tenace a rivendicare il suo ruolo di Memoria. Di luogo. Di voci. Di uomini che ci contengono.
E ci attirano in quell’aldilà che la foto racchiude. E che diventa storia di urla silenti.
Di lacrime mescolate alla terra. Pareti di baracche costruite con assi di betulla.
Capaci di essere calde d’estate e gelide d’inverno.
Inaccessibili circondate come sono da filo spinato.
Da muri di cemento che portano ancora incisi graffi e fori di proiettori. E alle volte tracce di sangue raffermo, usurato dalla pioggia e dalla neve.
In quella spiana piatta tra alberi di betulle. Quelle che appaiono ombre impresse nelle foto si fanno reali.
Con un nome. Birken.
E di vengono bosco. Birkenwald.
Fino a diventare prato. Birkenau.
Prato fatto di piccoli fiori bianchi. Timidi, ma autoritari. Che sbocciano copiosi nel punto esatto delle fosse di cremazione.
A monito. A memoria. A “ricorda sempre”.
E sensazioni, si fanno carne corteccia bucci Scorze.
Quelle foto, quelle scorze si fanno così:
“Archeologia di un passato che si fa anamnesi del presente.
Inquadrature reali diventano “messe a fuoco dell’anima collettiva” che sembra spersa. In quella nebbia. in quel bosco. In quel Birkenau’”
Sentire. Riflessioni. Pensieri che George Didi-Huberman, filosofo francese, fa attraverso scatti del 2011 tra Auschwitz -Birkenau pubblicando poi Scorze che Nottetempo editore ha riportato in libreria dal 19 gennaio 2024.
Libro particolare. Agile. Quasi un appunto dell’anima e dello spirito.
Lontano da riflessioni legate a un anniversario. A una giornata.
Un dialogo con sé stesso che diventa riflessione collettiva con data luglio 2011, che ripropone un punto diverso di lettura della Shoah non solo ebraica, ma globale.
Non con sovra-strutture di pensiero decise da altri commentate e condivise.
Ma facendo parlare i luoghi che ritrae in immagini in bianco e nero.
Scatti apparentemente confusi, casuali. Che sembrano “certificare” una visita ai luoghi deputati alla memoria. Senza linea narrativa, ma che proprio per questo capaci di toccare l’animo con rinvigorita e motivata emozione.
Una forma di nuova archeologia che si scopre tra le scorze di betulle presenti che is fanno pelle viva. Ancora sanguinate e dolorante al tocco.
In una rapsodia infinita. Che è epidermide (“cortex” corteccia). Che è mantello di pelle (“scortea”). Che protegge attenuando (forse) il terrore. Ma che non nasconde.
Le 19 immagini del filosofo francese, con relativi racconti, riflessioni fanno sberleffo alla memoria che, con il tempo, è andata affievolendosi diventando quasi auto-celebrativa. Smarrendo questi graffi che ancora pavimento di cemento o porta di corteccia di betulla riportano chiaramente incisi.
Con poeticità aspra e filosofica Didi-Huberman non cela l’Olocausto ma lo dilata.
Verso l’orizzonte. Ponendosi una domanda. Cruda, forse.
Rispetto alla necessità di tabernacoli dell’orrore, come Auschwitz-Birkenau. Luoghi divenuti museo con anima fittizia di quel ricordo.
Dove l’attenzione fluttuante del “turista della memoria” perde il suo valore per lasciare spazio alla:
Prostrazione di fronte alla storia ed ad obbligare a chinare la testa più del solito.
Ripiegando su se stessi, in una ricerca di risposta alla domanda
“Che senso ha…eliminare l’altro
Perchè scriverne ora ancora per sempre.”
Perché a Birkenau l’orizzonte è ancora quel filo spinato. Che va da torretta a torretta. Che chiude baracche con baracche. Che arriva fino al forno crematorio
Perchè a Birkenau, il click di uno scatto si riverbera a eco dando realtà presente alla memoria. Ponendoci domande, dubbi.
Bisogna semplificare per trasmettere? Bisogna ingentilire per educare?
O forse bisogno mentire per dire la verità?
Ma questa semplificata pedagogia della memoria vuole portarci a far dimenticare.
Vuole nascondere nella nebbia dell’oblio luoghi che solo apparentemente non hanno più traccia visiva di quelle atrocità compiute verso l’uomo.
A Birkenau esseri umani sono morti per mano di altri esseri umani.
Gli alberi, unici sopravvissuti, riportano nelle loro venature nelle loro cortecce, nelle loro scorze la traccia la voce la realtà viva della loro sofferenza.
Come pagine di un libro muto e urlante. Sono li testimoni, senza tempo. Pagine di un libro muto, urlante. Cadranno in autunno per rifiorire in primavera.
“Strati del tempo che ho” (abbiamo) “dovuto attraversare… per arrivare comprendere l’inquietudine del mio” (nostro) “presente”.
Scorze
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