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Recensioni di libri

Scorpion dance di Shifra Horn

Fazi, 2016 - Una storia esemplare, quella di Orion, cresciuto a Gerusalemme, nel quartiere di Old Katamon con due donne, sua madre, fantasiosa e disordinata e Johanna, la rigorosa nonna tedesca, e un pappagallo che parla, in un garage adibito ad appartamento ma circondato da un intricato glicine giapponese, negli anni ottanta del secolo scorso.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 25-01-2016

5

Scorpion dance

Scorpion dance

  • Autore: Shifra Horn
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Fazi
  • Anno di pubblicazione: 2016

Vedi Prezzo:

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Esce da Fazi (2016) “Scorpion dance” , un romanzo lungo, complesso, colorato di viola come il glicine, profumato di lillà, pieno di suoni, di voci, di amori, di perdite, di memoria, di ricerca di identità, di senso profondo della famiglia dell’autrice Shifra Horn. Non posso smettere di elencare i tanti temi racchiusi in questa narrazione, che attraversa tempi e luoghi diversi, e che ci racconta una storia esemplare, quella di Orion, cresciuto a Gerusalemme, nel quartiere di Old Katamon con due donne, sua madre, fantasiosa e disordinata e Johanna, la rigorosa nonna tedesca, e un pappagallo che parla, in un garage adibito ad appartamento ma circondato da un intricato glicine giapponese, negli anni ottanta del secolo scorso.
Orion è nato quando già suo padre Ulrich, appena ventenne, era morto il primo giorno della Guerra dei sei giorni: la giovane madre, giunta in Israele come orfana alla fine della Seconda guerra mondiale, pensava di disfarsi del piccolo concepito con un quasi sconosciuto partner, ma la ostetrica Johanna, sua suocera, l’aveva convinta a tenere il piccolo, cresciuto amorevolmente dalle due figure femminili, fino al servizio militare: la mamma, innamoratasi di un militare australiano, aveva deciso di trasferirsi in quel lontano continente, abbandonando l’unico figlio che invece continua la sua difficile esistenza con la nonna, che veglia sulla sua formazione raccontando di sé, della sua provenienza dalla Germania nazista, del numero di matricola tatuato sul polso sinistro, del suo odio per tutto ciò che era tedesco, giurando che mai sarebbe tornata in Germania, e imponendo la stessa promessa ad Orion. In realtà ci sono molti misteri, molti non detti, molti interrogativi sulla vita di Johanna, che turbano profondamente il giovane Orion: ha assistito davvero la nonna al rogo dei libri che i nazisti poco dopo la presa di potere di Hitler avevano inscenato vicino alla Porta di Brandeburgo? Quel vaso pieno di ceneri nere che la donna gelosamente conserva, è davvero cenere dei libri bruciati a Berlino? La vita affettiva e sentimentale alla ricerca della figura paterna mai conosciuta, della madre fuggita, della nonna misteriosa, è costellata di insicurezze, nevrosi, paure, incapacità di legarsi davvero ad una donna, fino a che compare nella sua vita una giovane cantante lirica, bionda, sottile, tedesca, detta in yiddish

“La mia Basherte, la mia promessa, il mio destino”

con lei sarà amore a prima vista, momenti di intensa felicità, profonda intesa fisica, condivisione di sensazioni, ma destinate a durare poco: anche lei decide di tornare nella sua patria, a Berlino, dove è stata chiamata per cantare e dove spera di affermarsi.
Orion non può raggiungerla, per lui la Germania è un luogo proibito; la promessa fatta a Johanna non può essere infranta. C’è una lunga parte finale dove si sciolgono alcuni dei nodi intricati che nel romanzo si erano aggrovigliati, nodi drammatici che raccontano la sofferenza degli ebrei sopravvissuti alla Shoah, del loro difficile inserimento in terra d’Israele, delle difficoltà incontrate nel radicarsi in una comunità spesso diffidente: durante la sua infanzia Orion aveva spesso visto ragazzi tirare sassi contro la casa di Johanna, a cui non si perdonava di mantenere l’accento tedesco, come il pappagallo Sarah, suo fedele compagno.
Orion non farà il medico, come la nonna avrebbe desiderato, ma il bibliotecario: uno scassato furgone che in passato aveva venduto gelati, diventerà la sua biblioteca circolante, nei paesi sperduti del deserto israeliano, dove raccoglierà tutti i libri che erano stati censurati e bruciati dalle belve naziste.
“Scorpion dance” è un libro sulla memoria, quello di Shifra Horn, sulla difficoltà di conservarla, sulla soggettività del ricordo,

“I ricordi affiorano disordinati, imponendomi la loro cronologia a cui a volte eventi più recenti ne precedono altri più antichi. La realtà è multiforme , e la memoria la interpreta a suo capriccio. Disporrò i fatti concreti, quelli di cui ho certezza, accanto alle invenzioni, a cui di tanto in tanto farò ricorso per sostituire le parti mancanti della storia”

questo è il grande fascino di questo romanzo, con lo scorpione nel titolo che simbolicamente ferisce ed uccide nel momento in cui si congiunge danzando.
Una scrittura lirica in cui si alternano lingue diverse, tuttavia piena di suggestioni, di odori, di colori, di profumi intensi, quello del linguaggio dei fiori, di rumori

“Il muro mi bussa”

di grande e raffinata sensualità che si intreccia con i ricordi più atroci della Shoah, senza retorica, con grande pudore e dignità. Gerusalemme e Berlino, passato e presente, disperazione e speranza, sesso, fobie, ricerca disperata di radici, tutto questo e molto di più nel libro di Shifra Horn, da rileggere quando è finito, per coglierne tutte le infinite sfumature.

Scorpion dance

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Scorpion dance

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