

Rinascimento conteso. Francia e Italia, un’amicizia ambigua
- Autore: Giovanni Ricci
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2024
Sorelle latine o sorellastre occidentali gelose l’una dell’altra? Se e quando amicizia c’è stata, tra la Francia sciovinista innamorata della sua grandeur e l’Italia dei santi poeti e navigatori, è rimasta quasi sempre fredda, diffidente, invidiosa, legata ai rispettivi tornaconti. Quella delle due più estesa e popolata coltiva un complesso di superiorità sulla minore, per superficie e popolazione, per quanto siano stati gli antenati della seconda a romanizzare la maggiore, nel primo tentativo di diffondere una civiltà comune continentale: civis romanus sum. Nello studio breve Rinascimento conteso. Francia e Italia, un’amicizia ambigua, edito da Il Mulino nella collana Saggi (aprile 2024, 216 pagine), lo storico dell’Europa moderna Giovanni Ricci fa risalire all’epoca rinascimentale l’insorgere della reciproca “insofferenza”.
Con la calata di Carlo VIII di Valois fino al Mezzogiorno, nel 1494, la soldataglia francese invadeva l’Italia mentre artisti e letterati italiani percorrevano l’itinerario opposto, andando a conquistare l’aristocrazia d’oltralpe. Uno scambio decisamente asimmetrico. Tuttavia, con la pace di Cateau-Cambresis del 1559 tramontarono le ambizioni della Francia sulla penisola, per quanto Bonaparte abbia cercato col miraggio della democrazia repubblicana di fare proprie le coscienze degli italici, divisi nei tanti staterelli preunitari, e più avanti il nipote Napoleone III d’imporre il suo imprimatur sul futuro della vicina.
E dire che si parlava francese, a Torino, nella corte della casa regnante che ha fatto l’unità nazionale nel 1861. La dinastia stessa era nata a Chambery, in Savoia e dalla Crimea 1855 all’Asse Roma-Berlino, l’Italia ha combattuto sempre al fianco della Francia.
L’alleanza venne rotta da Mussolini e le antipatie, non più trattenute da freni inibitori o ragioni di convenienza, dilagarono con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 ad una nazione già piegata dalle armate corazzate naziste. Oltralpe la presero come una coltellata alle spalle a un agonizzante: ancora nel 1959, in un’intervista a Montanelli, il presidente francese gen. De Gaulle non si trattenne dal definire il nostro
non un Paese povero ma un povero Paese.
Oggi Macron continua a dimostrare di non stimarci, del resto.
C’è un’altra singolarità ed è geografica. I due Paesi sono vicini, confinanti, si toccano, separati però dalle asperità più elevate sull’arco alpino. Al contrario, i valichi con la Svizzera sono accessibili, il passo del Brennero (1372 metri) non ostacola le comunicazioni col Tirolo, la sella tarvisiana di Camporosso non tocca i 900 metri e la soglia di Gorizia a Oriente è quasi pianeggiante. Quella delle Alpi Cozie e Graie, pur non determinante e forzata continuamente da viaggiatori, commercianti e pellegrini, rimase una barriera negli anni dal 1494 al 1559, oppose pericoli e impedimenti, pretese lavori e fatiche; si pensi al trasporto di artiglierie e salmerie. La permeabilità difficile, unita a fattori particolari di volta in volta, avrà pure inciso sull’insuccesso finale della Francia in Italia nel 1559 e sugli smacchi successivi, dall’imperialismo di Luigi XIV all’espansionismo rivoluzionario e bonapartista, alle aspirazioni egemoniche di Napoleone III sul Risorgimento italiano. Uno Stato nazionale antico, grande, forte, popolato non riuscì mai a estendere stabilmente il suo dominio o la sua influenza politica sulla frammentata, debole e confinante penisola italiana.
Altri ci riuscirono, magari più lontani, anche meno dotati di risorse, come Spagna o Austria. La Francia no, neppure dopo l’unità italiana del 1861 cui aveva collaborato.
Sicché, l’autunno del 1494 segna una svolta. L’armata di Carlo VIII di Francia penetra in Italia e marcia rapidamente su Napoli, spinta da una rivendicazione dinastica sul Regno del Sud (eredità angioina). Invase l’Italia anche grazie al cunicolo lungo un centinaio di metri, alto e largo in media 2 metri, a 2.882 di quota. Una parte delle truppe sfruttò infatti la più antica galleria sotto le Alpi, il tunnel di Traversette o Buco di Viso (percorribile tuttora), fatto scavare dal marchese di Saluzzo nel 1479-80, per facilitare l’arrivo del sale dalla Provenza.
Si andò avanti così, tra conquiste e perdite, con i francesi che in Italia spesso vincevano le battaglie ma dovevano ripartire senza conservare i frutti. Francesco I, padrone dopo il trionfo di Marignano del 1515, venne poi sconfitto a Pavia nel 1525 dall’imperatore Carlo V e finì prigioniero in Spagna per un anno. La potenza europea e planetaria degli Asburgo di Spagna e Austria, detentori di corone imperiali e reali e dei metalli preziosi del Nuovo Mondo, pose fine alle possibilità francesi di dominio sull’Italia, nonostante la spregiudicata alleanza del re cristianissimo di Francia con il sultano maomettano ottomano Solimano il Magnifico, nel 1536.
Le guerre in Italia proseguirono senza risultati, mentre cresceva l’esaurimento dei contendenti. Decisive due sconfitte francesi, a San Quintino in Piccardia, nel 1557, imposta da spagnoli e savoiardi, e a Gravelines, Fiandre spagnole, nel 1558, da spagnoli e inglesi. Con la successiva pace di Cateau-Cambresis, la Francia cedette alla Spagna il controllo della penisola, per cui si era svenata a lungo.
In realtà si trattò di una sconfitta storica per entrambe le “sorelle”. L’Italia, oppressa da armate straniere, fu vittima - anche involontaria carnefice -, la Francia pagò un duro prezzo politico e anche un drammatico deficit demografico. L’espansionismo nel mondo esaurì le risorse e l’aristocrazia feudale si ritrovò decimata, da battaglie e malattie, e i soldati anche più.
Si può concludere col professor Ricci che se la servitù dell’Italia ebbe origine con il 1494, anche il declino delle chances della Francia d’imporsi sull’Europa abbia avuto genesi in quel periodo rinascimentale.

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