Qualcosa resta
- Autore: Alessandro Mari
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2023
La prima cosa che mi ha spinta a scegliere di leggere questo libro è stata senza ombra di dubbio la presenza di Lobo, un simpatico cagnolino che già dalla trama prometteva essere parte integrante della narrazione. La seconda era una trama che prometteva di ruotare attorno al tema della morte, affrontato questa volta dal punto di vista di chi “resta”.
Alessandro Mari ritorna nel panorama editoriale a sei anni di distanza dall’ultima opera e lo fa nel modo più attento possibile al pubblico cui dedica il romanzo.
Nel suo Qualcosa resta (Feltrinelli, 2023) affascina il lettore in due tempi.
Nel primo lo lega ai personaggi protagonisti: Lobo, Pedro e il fratello di Ida che è anche voce narrante. Nel secondo tempo della storia, inizia un lungo peregrinare in cui chi legge viene immerso in una serie di scoperte inaspettate.
Innanzitutto il tema.
Il romanzo si pone l’obiettivo di raccontare la storia di una morte. O per meglio dire la storia di chi resta, di chi è quindi costretto a reagire dinanzi alla perdita di un caro con cui ha condiviso gran parte della propria vita. In questo caso Ida è una veterinaria che all’improvviso esce di scena gettando in un turbinio di riflessioni, preoccupazioni e incertezze il suo compagno Pedro, con cui aveva trascorso alcuni anni, e il fratello maggiore proprietario di un’osteria con cui condivideva molti ricordi. Il fatto è però che chi rimane è costretto a vivere un angoscioso trapasso, ovvero quel tempo che va dal momento in cui la persona cara svanisce, al punto in cui finalmente le cose cambiano e si ritorna alla vita.
Un percorso che nel libro occupa una buona metà della narrazione, o forse poco di più, ed è caratterizzato dalla delicatezza di un registro attento alle sfumature. Questa parte di narrazione è tutta una coccola di speranza, paura, timore, senso di colpa e grande umanità, che è poi la parte che più traspare quando ci si lascia affascinare con attenzione dal corso degli eventi e dal flusso delle parole.
A unire Pedro e il nostro narratore è il senso di colpa. La morte di Ida porta con sé per entrambi gli uomini una profonda colpevolezza. Pedro che ha conosciuto Ida per caso, grazie al proprio cagnolino (a cui viene dato sempre un ruolo più importante nel corso della storia), si sente colpevole per via di una scelta che ha fatto con un tempismo che col senno di poi si può definire assolutamente terribile. Un dolore e una colpa che col passare dei giorni diventano un fardello sempre più pesante per Pedro, al punto da spingerlo a confessare d’esser stato lui a ucciderla Ida, perché non c’è altra spiegazione se non quella.
Il fratello della donna invece è consapevole di avere una colpa profonda in quanto familiare stretto: l’ha un po’ persa di vista, ha spezzato quel legame che prima era molto più saldo. In sostanza ha la colpa di averla messa in secondo piano, di essersi allontanato. L’ha ignorata a lungo, troppo tempo gli sembra ora di aver sprecato dietro a questioni ben più futili lasciando alla studiosa sorella il compito di arrangiarsi nella vita, di averlo presente solo come ombra proveniente da un passato in cui erano più piccoli e innocenti.
Man mano che la storia si snocciola oltre la morte di Ida, a prendere un ruolo più importante è Lobo. Considerato da Pedro in grado di “fiutare la morte” quando si avvicina agli abitanti di Aridosa, sarà emblema di crescita e consapevolezza. Lobo non è in grado di conoscere le persone per la vicinanza di queste alla morte, bensì per il loro essere semplicemente se stesse, ed infatti questa sarà la lezione importante che i due uomini impareranno nel lungo peregrinare da una parte all’altra della Terra in costante cerca. Ed infatti non sorprende che la parte più cospicua in cui Lobo prende posizione è la seconda, quella che apre alla parte più didascalica, se vogliamo così definirla, del romanzo.
Pedro e il fratello di Ida si trovano ora alle prese con non solo il ricordo forte della donna negli oggetti e nei luoghi che l’hanno incontrata. Questo introdursi a una nuova fase della vita dei due protagonisti avviene attraverso uno spiazzante viaggiare. Pedro convince quel "fratello" ritrovato nel momento più buio della propria vita a partire, serve un viaggio che apra le loro menti a una nuova consapevolezza. Lobo ha davvero quel potere che Pedro era convinto di aver visto in lui, per cui lo aveva addestrato, semplicemente non è quello che si aspettava. È questa la parte sconvolgente del libro perché il lettore esce da una narrazione intima, introspettiva, che cerca di far evaporare lo spettro della morte e ora viene catapultato senza alcun paracadute che possa difenderlo in un flusso degli eventi totalmente diverso.
Non ci si aspetta che i due possano partire per una serie di viaggi e vagabondaggi e invece eccoci a seguirli in un nuovo percorso, inaspettato, ma vincente a modo suo, perché apre a una diversa visione delle cose, del mondo.
Questa ultima porzione di storia è diversa ma non stona con l’inizio, dopotutto si tratta di un viaggio che ha un’inizio drammatico, però poi si apre a un futuro potenzialmente differente dove gli eventi devono poter prendere una piega diversa per tornare a essere.
Si inizia viaggiando e si termina con un “peregrinare”, ci si perde e si perde per capire e trovarsi più vicini, cambiati, diversi, ma un po’ più forti ed è qui che sta tutta la forza del romanzo.
Alessandro Mari non racconta una storia statica né usa una trama semplice perché, in fondo, il tema di cui scrive è complicato e diverso per ogni singola persona che ci si approccia. Anche la centralità di Lobo che fa da filo conduttore della narrazione è un punto originale e molto a favore di questa storia che cattura tanto dal punto di vista emozionale, anche grazie alle speranze riposte in questo cagnolino.
Qualcosa resta
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