Non si può morire la notte di Natale
- Autore: Enrico Ruggeri
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Baldini+Castoldi
- Anno di pubblicazione: 2012
Siccome ci sono di mezzo un padre ingombrante e una manciata di colpi di pistola conseguenti mi è venuto da pensare all’apologo famiglia & anni di piombo, ordito da Dino Risi nel 1979 che fu. Ve la spiego così: il film si intitola(va) Caro papà e il romanzo di Enrico Ruggeri di cui vi sto parlando “Non si può morire la notte di Natale” (Baldini, Castoldi & Dalai, 2012). Là Vittorio Gassman giganteggiava diviso tra moglie, amante, figli ingrati e affari a molti zeri, qua Giorgio Sala - attore di chiara fama e altrettanto egotismo - gli tiene botta, immolando sul falò della vanità, vita affettiva e scampoli di relazioni significative. Non che si possa definire un santo ma forse nemmeno il diavolo brutto e cattivo che la combutta di parenti-serpenti (passivo-aggressivi, depressi, reazionari, rosiconi, vittime per statuto e/o vocazione) denigra in coro. Chissà se stanco di cotanto disamore, la vigilia di un Natale da abbondanti beveraggi e resa dei conti con sé stesso, il divo decide di uscire di scena, e architetta di farlo nel modo più eclatante: sparandosi a una tempia.
Il romanzo comincia in questo modo: c’è lui moribondo, a un passo dal canonico tunnel che dovrebbe sfociare nell’aldilà, e nessun altro intorno. Caso chiuso e mistero solo apparente, non fosse che il Nostro la sfanga per un soffio e - come si apprende tra le pagine - uccidersi non rientrava esattamente tra i suoi piani natalizi. È qui che il giallo diventa nero pece e l’indagine di tipo introspettivo. Invalido com’è rimasto e non in grado di proferire parola, l’attore rimugina tra sé e sé sul lotto dei papabili assassini (mancati) e sui loro moventi. La recherche – tutt’altro che proustiana – dura un anno sputato (da Natale a Natale), contempla solitudini acclarate e di ritorno, bilanci, luci/ombre, svariate ritrattistiche da gruppo di famiglia in un interno e persino un morto vero (il marito cornuto di una delle amanti del Sala), rintracciando il suo climax nel rendèz vous natalizio in cui la parentela di Sala è chiamata a fare i conti con delitti & segreti che - a tradurre tra le righe - vanno ben oltre i “casi” in ispecie. Non manca il colpo di scena da ultima pagina che non vi svelo per non togliervi la sorpresa.
Vi basti sapere ancora che “Non si può morire la notte di Natale” è un romanzo molto più spesso di ciò che appare. Un giallo anomalo, un giallo ontologico, un giallo borghese, antiretorico ed elegante quanto basta per acclamare al Ruggeri più maturo. E se proprio siete a caccia di colpevoli sappiate che in questo libro ne troverete di ogni specie. Soltanto che nessuno, fra di loro, è armato di pistola.
Non si può morire la notte di Natale
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Fra tanti natali, teneri, innamorati, zuccherosi, rosa, antichi, tristi e gioiosi, può trovare il suo spazio un Natale noir: anzi, diremmo proprio che lo trova egregiamente. Artefice del “misfatto” non è uno scrittore tout court, ma un cantautore di lunga carriera e dallo stile originale come Enrico Ruggeri.
Cantanti e cantautori che si dedicano alla letteratura non possono passare inosservati: di solito, i risultati sono eccellenti o scadenti. Vi sono casi in cui la poesia, l’attualità, il cinismo dei testi che scrivono per le loro canzoni viene riprodotto e addirittura esaltato nella forma del racconto o del romanzo, e altri in cui l’autore non riesce a uscire dalla dimensione del testo della canzone. Ruggeri appartiene alla prima tipologia: partendo dai suoi testi allo stesso tempo incantevoli e caustici ha dato vita a un breve romanzo tagliente, avvincente e pieno di suspence, per niente scontato.
In questo caso si parla non di un Natale, ma di due Natali: la storia di Giorgio Sala, attore di teatro, cinema e televisione di consolidata fama, si svolge, infatti, nell’arco di un anno, da un Natale disgraziato a quello della resa dei conti. Durante le feste, si sa, è facile alzare un poco il gomito: ma questo non basta certamente a giustificare il fatto che Giorgio abbia tentato di suicidarsi proprio alla fine di un pranzo natalizio passato con la sua famiglia “allargata”. La pistola puntata alla tempia non ha raggiunto in pieno il proprio obiettivo: Giorgio viene salvato, ma resta temporaneamente senza l’uso della parola. I suoi pensieri, però, funzionano bene, e una sola certezza è salda nella sua mente: quel gesto apparentemente disperato non è opera sua. La sua vita, certo, non era perfetta, ma neppure terribile, e lui non aveva la minima intenzione di abbandonarla. E’ stato qualcun altro ad approfittare del suo stato confusionale dovuto all’alcol, per tornare in casa con una scusa e premere il grilletto al posto suo, abbandonando poi l’arma nelle sue mani. Ma chi aveva interesse a farlo?
Forse nessuno, forse tutti. A cominciare dalla ex moglie Carola, che ha avuto la vita rovinata dai suoi continui tradimenti, prima di decidersi a lasciarlo e a superare quel legame impari. Oppure suo figlio Gio, in costante conflitto con lui, tutto il contrario dell’altro figlio, Vittorio, che lo ama incondizionatamente. O sua madre e suo padre, che l’hanno sempre considerato uno scavezzacollo, e, dopo la fine del suo matrimonio, un fallito. E che dire di Barbara, l’amica di Carola, sua ex amante, e di Massimo, il marito di lei, che ha, ovviamente, mal digerito il tradimento? In questa confusione di sospetti, Giorgio trova un inaspettato alleato in Irina, la badante ucraina, che non crede alla tesi del suicidio e si impegna a indagare per aiutarlo a scoprire la verità. Oltre a lei e Vittorio, l’unica persona sincera verso Giorgio è Michela, una giovane fan innamorata di lui, che gli scrive lettere affettuose e tenaci nella speranza che lui le permetta, un giorno, di poterlo vedere.
Andando avanti nella lettura ci si rende conto che Giorgio sta indagando non solo per scoprire il colpevole, ma anche per interrogarsi sulle proprie colpe e sul proprio vissuto, con una buona dose di autoindulgenza. I coltelli, però, si affilano, e le conclusioni alle quali il racconto sembra giungere non saranno necessariamente quelle definitive. Il finale è, allo stesso tempo, sorprendente e prevedibile, servito con lo stile asciutto e sottilmente inquietante che è la caratteristica del romanzo.