Nel giorno dell’anniversario della nascita di Luigi Tenco vogliamo ricordare le analogie e le affinità che legano il cantautore a un grande nome della letteratura italiana del Novecento: Cesare Pavese. Erano accomunati dalla stessa sensibilità, dalla stessa maniera profonda e intima di percepire l’esistenza nel suo fluire. I diversi punti di contatto tra le loro voci sono percepibili in particolare nei loro testi: le poesie per Pavese; le canzoni per Tenco.
Erano nati a trent’anni di distanza l’uno dall’altro (Pavese nel 1908; Tenco nel 1938), eppure così simili. Erano attraversati dalla stessa insidiosa inquietudine, ed entrambi sono oggi ricordati per la loro tragica fine.
Luigi Tenco e Cesare Pavese: le parole dell’addio
Le analogie iniziano proprio dal loro destino. Tenco morì nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, dopo essersi sparato un colpo di pistola alla tempia, in una stanza dell’Hotel Savoy di Sanremo; Cesare Pavese fu trovato morto il 27 agosto 1950 nella camera dell’Hotel Roma di Torino, accanto al suo corpo senza vita furono rinvenute dieci bustine di sonniferi.
Entrambi, nel loro congedo alla vita, si erano premurati di scrivere a mano un biglietto che non lasciava adito a dubbi riguardo l’intenzionalità del loro gesto.
Breve e lacerante l’addio di Cesare Pavese, scritto sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò:
Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.
Cesare Pavese
Più articolato invece l’addio di Luigi Tenco, che nel suo gesto di commiato non pronuncia parole di perdono, ma d’accusa:
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona“ La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.
Le parole dell’addio non coincidono, anzi, divergono: tuttavia Pavese e Tenco si erano incontrati in molte altre riflessioni sulla vita e sulla morte, come testimoniano i loro testi. Luigi Tenco era un assiduo lettore di Pavese, lo stimava e aveva assorbito le sue parole interiorizzandole. I testi delle canzoni di Tenco risentono dell’influenza pavesiana: basti pensare a Lontano lontano, Vedrai, vedrai e, soprattutto, Un giorno dopo l’altro. Entrambi avevano una percezione drammatica del Tempo nel suo fluire inesorabile: lo concepivano nell’associazione tempo-memoria, il Tempo come memoria del singolo, individuale, e non nell’accezione di tempo storico, dunque collettivo.
Il senso della caducità della vita umana è presente in molte canzoni di Luigi Tenco e in una delle raccolte poetiche più celebri di Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Scopriamo in particolare le affinità che legano la canzone di Tenco, Un giorno dopo l’altro, e la poesia di Pavese.
Un giorno dopo l’altro di Luigi Tenco: testo
Un giorno dopo l’altro
Il tempo se ne va
Le strade sempre uguali
Le stesse caseUn giorno dopo l’altro
E tutto è come prima
Un passo dopo l’altro
La stessa vita
E gli occhi intorno cercano
Quell’avvenire che avevano sognato
Ma i sogni sono ancora sogni
E l’avvenire è ormai quasi passatoUn giorno dopo l’altro
La vita se ne va
Domani sarà un giorno uguale a ieri
La nave ha già lasciato il porto
E dalla riva sembra un punto lontanoQualcuno anche questa sera
Torna deluso a casa piano piano
Un giorno dopo l’altro
La vita se ne va
E la speranza ormai è un’abitudine
Un giorno dopo l’altro di Tenco e la poesia di Pavese
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La conclusione della canzone di Tenco
La speranza è un’abitudine
riflette un’amara riflessione di Pavese contenuta in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi:
O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla.
La canzone di Tenco, così come la poesia di Pavese, esprimono una visione tragica della vita intesa come un graduale processo di disillusione. La speranza viene avvertita come un’abitudine, è tutto e al contempo è nulla, giacché la morte attende al varco e sembra non lasciare via di fuga.
Lo spettro della morte aleggia come una presenza incombente in entrambi i componimenti. Luigi Tenco fa riferimento alla “nave che ha già lasciato il porto”, mentre Pavese già la vede riflessa nello specchio. Agli uomini, in entrambi i casi, non rimane che scendere “nel gorgo muti”: lo stesso movimento silenzioso e ineffabile caratterizza i protagonisti sia nella poesia che nelle canzone. Sono accumunati dalla stessa inquietudine e dall’identica delusione che ormai li accompagna come un’ombra:
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cui fa eco la malinconia di Tenco:
Torna deluso a casa piano piano
Un giorno dopo l’altro
La vita se ne va
E la speranza ormai è un’abitudine
Sia Cesare Pavese che Luigi Tenco ribadiscono, nei loro testi, una verità scomoda quanto tristemente realistica. Le loro parole sono ammantate di disillusione, avvelenate di tristezza. La speranza è soffocata, è diventata un’abitudine. Forse questi testi tanto simili da apparire complementari, che sembrano rispondersi come un coro di voci, erano il presagio di una tragica fine - a quanto pare annunciata.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Un giorno dopo l’altro”: la canzone di Tenco ispirata a Pavese
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