

Lenin. La formazione di un rivoluzionario (1870-1904)
- Autore: Guido Carpi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
La prima cosa che colpisce di Lenin. La formazione di un rivoluzionario (1870-1904) di Guido Carpi (Stilo Editrice, 2020), questo saggio-biografia su Vladimir Il’ič Ul’janov — altrimenti conosciuto col nome di battaglia di Lenin — è il taglio. L’approccio tutt’altro che paludato con cui Guido Carpi introduce agli intenti del suo libro (pagg. 11-12):
“A centocinquant’anni giusti dalla nascita e a poco meno di cento dalla morte, per chi è scritta questa biografia? A quale tipo di lettore mi rivolgo nel definire la strategia costruttiva dell’opera in corso? […] È presto detto: Lenin ha consacrato l’intera propria opera a formare un nuovo tipo di militante politico ‘universale’; ha tentato di metterlo al centro di un complesso sistema di alleanze variabili, che gli consentissero di trasformare il mondo. Ogni singola riga scritta da Lenin è indirizzata a quei militanti: quando essi ancora non c’erano egli immaginò come potevano venire a esistere e cosa dovevano diventare; quando poi ci furono, spiegò loro in che contesto si trovavano a operare, cosa dovevano fare e come potevano farlo, volta per volta, momento per momento, come un GPS per anime. I professori universitari, invece, li voleva fuori dai piedi. Questa biografia non poteva essere scritta che per loro: per i militanti che ci sono e per quelli che varranno”.
E a questo punto verrebbe già da scrivere bene, bravo. bis: incisivo e diretto come alla prosa accademica non capita di essere quasi mai. Guido Carpi è professore ordinario di Letteratura russa all’Università di Napoli ma il suo Lenin volume I si legge come un serrato romanzo di formazione. Politica e letteraria al tempo stesso.
“Letterato: così, nel compilare le sue generalità, egli definiva la sua occupazione principale. E noi lo prendiamo in parola: la cultura in cui Lenin si forma è permeata di profondo impegno democratico e civile in un contesto censorio e repressivo di durezza sconosciuta nel resto d’Europa, per cui letterato significa non solo – e non tanto – ‘uomo di lettere’, ‘studioso’ . Nella Russia della seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento […] è dunque il letterato colui che identifica, analizza e interpreta i processi evolutivi del Paese e costruisce ipotesi su come si debbano comportare i soggetti singoli o collettivi coinvolti, in che direzione essi possano muoversi e per diventare cosa”. (pag. 7)
Oltre che fondamentali al dibattito socialdemocratico, le parole di Lenin sono dunque da assumere nell’accezione ulteriore di orientamento alla prassi politico-sociale dei proto-proletari dell’epoca (fine Ottocento/inizio Novecento): uomini e donne che egli sprona alla presa di coscienza e all’azione rivoluzionaria. Se si tiene conto del contesto russo nel quale Vladimir Lenin cresce e matura la sua consapevolezza “di classe”, si apprezza di più la portata disalienante dei suoi scritti. Per dirla in poche parole, quella del giovane Lenin era una Russia povera, rurale, sopraffatta dall’autocrazia zarista, dallo sfruttamento, oppressa dal burocratismo e dalla violenza poliziesca. Studente ginnasiale molto dotato, dal carattere schivo, segnato dalle idee radicali del fratello (giustiziato per motivi politici), Vladimir Il’ič Ul’janov conoscerà presto il carcere, quindi la Siberia, non derogando dai suoi principi, dalla sua attività di scrittore politico (proprio in Siberia ultimò Lo sviluppo del capitalismo in Russia), e nemmeno dalle frequentazioni intellettuali di estrazione marxista. Nel 1902 pubblica il fondamentale Che fare?, in cui, fra l’altro, individua l’intrinsecità tra i concetti di marxismo, lotta economica e lotta di classe.
“Con logica ferrea e con infernale capacità di adattamento alle condizioni sociali più diverse, il capitalismo avanza, s’infiltra, mette radici, spegne culture millenarie, scinde, unisce, dissolve, coagula: non importa che si tratti di lavoratori agricoli migranti o di capannoni dove gli operai lavorano in condizioni bestiali, nudi, a temperature soffocanti, vittime di continui incidenti, oppure di casette perse nella campagna dove donne analfabete che non sono mai uscite dal loro villaggio tessono, tagliano, cuciono, filano per lo skùpscik. Quale che sia la forma che assume il capitalismo reseca dai rapporti di lavoro tutto ciò che umano e lascia solo lo spietato pagamento in contanti”. (pag. 115)
Il tratteggio del capitalismo osceno della Russia pre-rivoluzionaria conferma la vis senza infingimenti con cui Guido Carpi conduce la sua inchiesta politico-biografica; intrattenendosi sulle stazioni — pubbliche e personali — che consegneranno Lenin alla Storia come protagonista della Rivoluzione d’Ottobre e primo ministro dell’Unione Sovietica. Io devo giocoforza sintetizzare: i circoli marxisti frequentati a Pietroburgo, il confino in Siberia, la fondazione della rivista Iskra (La scintilla); il manifesto ideologico-programmatico di Che fare?; il secondo Congresso del POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico Russo) tenuto clandestinamente; la frattura tra bolscevichi e menscevichi, vedono Vladimir Il’ič Ul’janov sempre in prima linea.
Questa che Guido Carpi gli dedica non è un’agiografia (meno che mai un’agiografia fine a se stessa). Il saggio si conclude alla vigilia del 1905, anno che inaugura idealmente un’altra stagione decisiva. Per Lenin e per la Russia (si afferma, per esempio, la consapevolezza che “- in tempi di rivoluzione – il binomio di analisi e organizzazione debba e possa prendere le forme di ‘doppio binario’’ distruttivo/creativo” (pag. 236).
Attendo con interesse l’uscita del secondo volume. Più che per sapere come finisce la storia (la fine è nota), per sapere come Guido Carpi riuscirà a renderla avvincente e altamente significativa al contempo.

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