Leggende e riti degli Incas. Cuzco 1574
- Autore: Cristóbal de Molina
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
Il sacerdote spagnolo Cristóbal de Molina (1529-1585), detto “el cuzqueño”, è l’autore della più antica raccolta di miti incas giunta sino a noi. Nel 1993 il Cerchio di Rimini ne ha pubblicato la prima edizione italiana, affidata al curatore Mario Polia e presentata con il titolo Leggende e riti degli Incas. Cuzco 1574.
“Inca” era l’appellativo con cui gli antichi peruviani indicavano i sovrani e i principi di stirpe reale, questi imperatori non detenevano solo il potere politico e militare, bensì anche quello religioso, poiché si credeva che fossero i discendenti del sole. In origine gli Inca erano un piccolo gruppo stanziato a Cuzco, poi estesero progressivamente il loro dominio sottomettendo le popolazioni circostanti e si costruirono un grande impero nella regione delle Ande centrali.
De Molina era parroco di Nuestra Señora de los Remedios dell’Ospedale per Indigeni del Cuzco e ciò gli permise di accrescere le sue conoscenze sulla religione e i riti dei nativi attingendo a una grande quantità di fonti orali (in particolare anziani testimoni), il testo è datato, però resta tuttora uno strumento con cui gli antropologi e gli storici delle religioni devono confrontarsi. Il compito del prete era quello di salvare le anime e di convertire chi non conosceva la parola di Dio, ma – per un uomo nella sua condizione – mostrò rispetto del materiale orale, anche quando lo poneva di fronte a realtà (spesso feroci) che aborriva. Preziose sono le descrizioni dei sacrifici umani, che avevano anche l’obiettivo politico di rafforzare il potere centralizzato dell’impero:
“I sacrifici iniziavano nella città del Cuzco come segue: il primo sacrificio era per il Creatore, sacrificio che ricevevano i sacerdoti incaricati della sua statua, pregandolo che si degnasse di concedere all’Inca lunga vita e salute e vittoria sui suoi nemici; di non chiamare a sé in tenera età né i suoi figli né i suoi discendenti e di [concedere] che fino a che l’Inca regnasse tutte le nazioni a lui soggette stessero sempre in pace, [che la gente] si moltiplicasse ed avesse da mangiare e che sempre [l’Inca] fosse vittorioso.
Compiuta questa orazione, soffocavano i bambini dando prima da mangiare e da bere a quelli che erano in età [per farlo] mentre le madri [allattavano] i propri pargoli perché non giungessero affamati e scontenti nel luogo dove stava il Creatore. Ad altri, da vivi, estraevano il cuore e, ancora palpitante, l’offrivano alle huacas [idoli] alle quali era destinato il sacrificio”.
Alcuni studi moderni sostengono che gli Incas non abbiano mai raggiunto un livello di raffinatezza tale nei loro strumenti da consentirgli di estrarre un cuore ancora pulsante, tuttavia la ricostruzione delle immolazioni è veritiera e confermata dai ritrovamenti archeologici:
“Col sangue aspergevano quasi da orecchio a orecchio il volto della huaca, operazione detta pirac. Ad altre (huacas) offrivano il corpo e il sangue e sotterravano i corpi, assieme agli altri sacrifici, in un luogo detto Chuquicancha [“Recinto d’oro”], che è un piccolo monte che sta sopra San Sebastián, a circa mezza lega dal Cuzco, come si è detto”.
Il ciclo raccolto dallo studioso ispanico tocca diversi aspetti dell’esistenza, il mito ancestrale del diluvio, l’origine del mondo e il rapporto tra gli uomini e il divino, tuttavia appare complessivamente incompleto, ciononostante è una lettura accessibile a tutti e interessante anche per un semplice curioso.
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