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Recensioni di libri

Le stagioni invisibili di Adriano Doronzo

FrancoPuzzoEditore, 2005 - Con una trentina di liriche ricche di spunti meditativi l’autore affronta temi cruciali del pensiero millenario, ma non ci lascia con l’amaro in bocca.

Graziella Atzori Pubblicato il 25-12-2020

4

Le stagioni invisibili

Le stagioni invisibili

  • Autore: Adriano Doronzo
  • Categoria: Poesia
  • Anno di pubblicazione: 2005

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Riprendo in mano con grande interesse il volume di poesia Le stagioni invisibili di Adriano Doronzo (FrancoPuzzoEditore, 2005, pp. 34). La buona poesia è senza tempo, rompe la tirannia di quest’ultimo, trasportandoci in una dimensione “altra”, la quarta direbbe Einstein, in cui il tempo relativizzato non costituisce una scure sul nostro capo, rappresentata dal rumore ossessivo dell’orologio. Dimensione interiore a cui allude il titolo della silloge; sintetizzata in versi sapienziali:

"Ogni attimo è la creazione, la durata / E un’abile mano nasconde / L’illusorio passato / Tutto volge lentamente alla fonte / Ed io, in grossolana tristezza / Accordo luminosi sogni / A minuscole tracce / Di preziose verità".

Sono versi emblematici che riassumono la poetica del libro. Versi ermetici non soltanto e non solo come riferimento a una corrente letteraria, quanto per il loro carattere filosofico ed esoterico, che rimanda a una conoscenza nascosta, di cui il sogno è la porta.
La tristezza serpeggiante in ogni pagina è senza dubbio quella metafisica di Leopardi, suscitata dal non sapere, dall’illusorietà del mondo visibile, dalla pesantezza della materia:

"Al tramonto osserverò inquieto / L’arrivo tempestoso della fragorosa marea / E il giungere odioso della sottile pioggia / Di pungenti ricordi, / Reclameranno entrambe / Sostanziosi diritti mai acquisiti / In porzioni di tempo mai decise".

C’è da chiedersi come mai la natura, sempre consolatrice e materna per i poeti e per chiunque, assuma qui un aspetto piuttosto “matrigno”. Il riferimento a Leopardi, in parte, ancora una volta appare evidente. In parte, in quanto Leopardi viene immensamente sedotto dalla natura che ammalia, per poi ritrarsene con doloroso ripensamento e rifugiarsi nella “social catena” di solidarietà, come pure in una altrettanto immensa, oserei dire buddhistica compassione per tutto l’esistente.
Doronzo non si lascia ingannare dalle apparenze, vuole andare oltre, non restare impigliato nella tela di ragno, come appare della significativa lirica Aragne. In quest’ultima il poeta sa che esistono “vie di fuga” ma sono impedite da “pareti di pietra” che lo tengono prigioniero “della mia cieca forza di vivere”.
Il peccato si configura quindi in senso gnostico come ignoranza, cecità. Lo vediamo nel testo Il male involontario (lettera ad un prigioniero invisibile).

Con una trentina di liriche ricche di spunti meditativi l’autore affronta temi cruciali del pensiero millenario, ma non ci lascia con l’amaro in bocca. A tutti noi prigionieri del tempo e delle tre dimensioni visibili offre una visione liberatoria: innalza una preghiera rivolta a madre e padre, i genitori celesti, la coppia alchemica del matrimonio sacro tra “cielo” (il maschile) e “terra” (il femminile), di cui i genitori carnali sono effigie e specchio. Diversi snodi poetici nelle pagine intense e sofferte alludono al cammino alchemico di penetrazione nella materia, per comprenderla e trascenderla. E infatti:

"Un’anima impaziente / [...] poserà / Le sue delicate membra / Su questo corpo infantile e rozzo."

Testo elitario per chi vuole comprendere e penetrare i misteri, per chi ancora si interroga in un mondo privo di vere domande metafisiche, questo scarno ed elegante libretto può offrire una chiave introspettiva. Non sembri però che la natura sia un male, non è questo il messaggio offerto; male è il nostro limitato sguardo “da prigionieri”, offuscato dalla brama e dall’ignoranza.
Possiamo scorgere nel dettato poetico la differenza tra “natura naturans”, la natura divina creante data dai due genitori matrice dell’essere, e “natura naturata” la densificazione della prima e oscuramento della divina luce a monte, luce rivelata nel sogno. Troviamo la distinzione tra le due nature essenzialmente in Spinoza, ma pure in tutti i mistici e i cercatori che sanno distinguere tra la maschera e il volto.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le stagioni invisibili

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Commenti: 1

  • Renzo Maggiore
    25 dicembre 2020, 12:19

    L’ennesima impeccabile recensione di Graziella Atzori per i versi di un artista maturo, che considero amico e affine.

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