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Recensioni di libri

Le sentinelle di pietra di Lisa Bregantin, Denis Vidale

Biblioteca dei Leoni, 2016 – Dando molto spazio alle immagini fotografiche, il volume presenta i venti grandi Sacrari e Ossari edificati negli anni Venti e Trenta sul fronte italo-austriaco della Grande Guerra.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 20-09-2018

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Le sentinelle di pietra

Le sentinelle di pietra

  • Autore: Lisa Bregantin, Denis Vidale
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2016

Non è facile parlare di cimiteri militari. Nella società civile attuale fanno da ostacolo pregiudizi di natura scaramantica – si preferisce non parlare di morte – ed anche remore postsessantottine di rifiuto della guerra. Tuttavia, esistono e sono grandi, importanti, solenni, sorti nei luoghi che nel 1915-18 costituirono il fronte italo-austriaco. È giusto dedicare attenzione cento anni dopo, attraverso un volume, “Le sentinelle di pietra. I grandi sacrari del primo conflitto mondiale”, pubblicato nel 2016 dalla casa editrice Biblioteca dei Leoni di Castelfranco veneto (150 pagine 15 euro), a firma di due dottori di ricerca in storia del Novecento, Lisa Bregantin e Denis Vidale.
È nato con l’intento di fornire una documentazione fotografica dei siti principali. In una significativa e insolita riflessione preliminare, sono affrontati i temi legati all’inumazione dei caduti della Grande Guerra e al controverso rapporto della società italiana con questi luoghi.

La documentazione fotografica è corredata dalle informazioni essenziali sui Sacrari, da brevi documenti d’archivio e note riepilogative dei fatti d’arme nel territorio in cui sorsero poi gli impianti cimiteriali.
Rispondevano a tre esigenze: monumentalità, perpetuità, individualità, che si ritenne di privilegiare a conclusione di intense discussioni e dibattiti parlamentari, proseguiti fino a metà degli anni venti.
Il problema era stato posto dopo il 1920, quando il trascorrere del tempo aveva messo in evidenza il nodo della conservazione e manutenzione, ma anche della stessa sopravvivenza dei tanti cimiteri anche piccoli realizzati quasi spontaneamente in zona di guerra. Le tombe individuali e collettive erano interrate, esposte perciò agli agenti atmosferici e al degrado.
Non aveva avuto esito la legge nazionale che consentiva il trasporto delle salme nelle destinazioni scelte dai familiari: erano state pochissime le richieste di traslare i propri cari nei cimiteri dei paesi d’origine. Sarebbe comunque rimasta l’urgenza del doveroso rispetto dei tantissimi caduti ignoti e si voleva evitare nei cimiteri militari qualsiasi diversificazione tra sepolture “gentilizie” di militari abbienti e povere tombe diseredate, che col passare degli anni si sarebbe potuta realizzare.
I cimiteri militari presentati nella pubblicazione sono venti, tra grandi Sacrari e Tempio-Ossari. Primo ad essere inaugurato, nel 1926, quello del Monte Pasubio, ma il progetto complessivo di sistemazione venne avviato nel 1931 e proseguì fino al 1939, con l’apertura dei cimiteri di San Candido e di Passo Resia. L’ultimo sorse a Udine, nel 1940.

Il criterio ispiratore di questa edilizia post bellica è senz’altro la sacralità militare: sono mausolei di guerra. Dovevano essere costruzioni monumentali, risentendo dell’ideologia edificatoria del periodo fascista in cui sorsero. Alla semplicità delle sepolture singole dei cimiteri sparsi durante la guerra, si sostituì la concentrazione in poche grandi sedi, nei territori che avevano visto i combattimenti principali. Erano opere di importanti progettisti, ispirate ad altisonanti obiettivi di architettura bellica, in coerenza con la propaganda di virtù militari del regime.
Non era più tempo di cordoglio sommesso nei cimiterini locali, dove familiari ed ex commilitoni potevano raccogliersi per un momento di commozione. Si edificavano opere grandiose, celebrative della memoria collettiva, nelle quali il soldato perdeva l’individualità che la morte gli aveva imposto e tornava nei ranghi, inquadrato di nuovo in un reparto militare. Si pensi a Redipuglia, dove la tomba del Duca d’Aosta precede quelle dei generali e i gradoni che ospitano 40mila caduti noti, come un’armata in parata sulle pendici del Monte Sei Busi.
Nei grandi Sacrari, i caduti tornavano ad essere irreggimentati in una formazione. Vi si celebrava il trionfo della laicità, la sfera religiosa era relegata nelle cappelle annesse. La valenza pubblica aveva il sopravvento sul privato e dominante restava il concetto del sacrificio, della morte nobilitata dalla vittoria finale, come premio della donazione generosa di tante vite.

Nei Sacrari, come nei monumenti della grande Guerra sulle piazze di tutte le città e paesi d’Italia, non ricorre mai l’aspetto della devastazione cruenta dei corpi. Si celebra il trionfo di eroiche vittime idealizzate. Era bandita una rappresentazione dei caduti nella posizione scempiata o scomposta in cui era avvenuta sul campo di battaglia o nel letto d’agonia. Li si raffigurava come fanti all’assalto o come caduti senza dolore, intatti, sacralizzati, tanto che si ricorreva alla monumentalizzazione dell’appello nei ranghi: “Presente!”, per l’eternità.
È da condividere il rispetto che gli autori cercano di suggerire nei riguardi di questi luoghi. Pur nella loro grandezza, sono un dolente simbolo di morte e di rifiuto della guerra. Non a caso, l’Italia repubblicana celebra a Redipuglia il 4 novembre, ogni anno. Mussolini lo fece ben poche volte.

Sentinelle di pietra. I grandi sacrari del primo conflitto mondiale

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le sentinelle di pietra

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