Le armi del diavolo
- Autore: Marco Scardigli Andrea Santangelo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: UTET
- Anno di pubblicazione: 2015
Pavia, 1525, la battaglia che decise i due secoli successivi ed oltre della penisola italiana. Lo scontro tra Francia e Spagna (Sacro Romano Impero), che il re transalpino aveva già vinto e che gli imperiali gli strapparono per l’irrompere sulla scena della storia di un nuovo strumento bellico: le canne da fuoco. Erano “Le armi del diavolo”, che danno il titolo a un bel saggio storico di Marco Scardigli e Andrea Santangelo, pubblicato dalle Edizioni UTET a novembre 2015 (pp. 200, euro 16,00).
“Anatomia di una battaglia: Pavia, 24 febbraio 1525”, si legge sulla copertina di un libro che potremmo considerare una sorta di fiction narrativa. Ricostruisce l’evento sceneggiandolo attraverso il racconto delle vicende di alcuni personaggi di fantasia, ma verosimili.
Per la parte francese: Francesco Guasto, soldato italiano della Compagnia di ventura di Giovanni dalle Bande Nere, l’artigliere ferrarese Fazino Avogario e due armati della cavalleria pesante, il cavaliere di Montpenzat e lo scozzese Thomas Lenatt.
Per la parte imperiale: l’archibugiere spagnolo Juan de Guevara, il lanzichenecco Hans Efehk, la vivandiera Anna Ziegler e una nobildonna, la marchesa Isabella, assediata nella città lombarda.
Sono stati “costruiti” sulla base di documenti, atti, lavori storici e lettere del tempo, mentre per i dettagli sugli accampamenti, l’abbigliamento e la vita degli eserciti si è fatto capo a stampe e disegni dell’epoca.
La battaglia ebbe luogo di notte, fino alla mattina del 24 ed ha impegnato combattenti francesi, spagnoli, svizzeri, tedeschi, fiamminghi, italiani di gran parte degli Stati in cui era divisa la penisola e minoranze di altre nazionalità, scozzesi compresi.
La scelta di sceneggiare, da parte di Marco Scardigli (scrittore e docente universitario di Storia) e Andrea Santangelo (storico militare molto attivo), consente di seguire direttamente sui due fronti quelle ore decisive nel buio e nella nebbia della pianura padana. È un volume per appassionati di storia, per studenti volenterosi, ma anche per lettori che vogliono approfondire pagine importanti ma meno note. Un saggio per tutti, esperti e non. Attese e curiosità saranno soddisfatte dalla competenza storiografica degli autori e dalla scrittura scorrevole.
È comunque necessaria una premessa sui presupposti storici. La Lombardia era diventata punto di passaggio obbligato e quindi obiettivo primario di due grandi dell’Europa di allora. Ad appena 19 anni, il giovane re di Spagna Carlo era riuscito a farsi eleggere imperatore del più grande impero dai tempi di Roma (Carlo V d’Asburgo), ereditando un dominio su cui non tramontava il sole ma che tuttavia ribolliva per le tensioni religiose e sociali scatenate dalla riforma luterana.
I territori circondavano di fatto la grande Francia, unita sotto un altro giovane ed esuberante re, Francesco d’Orleans. E questi aveva deciso di chiudere il corridoio lombardo che metteva in comunicazione la Spagna e l’Italia meridionale spagnola col resto dell’impero continentale. Aveva perciò marciato verso Milano, conquistata nel 1499. Schiacciando numericamente le forze imperiali, l’armata francese le costrinse a lasciare il territorio, ad eccezione di una guarnigione di 2mila spagnoli e 5mila lanzichenecchi nella piazzaforte di Pavia. La città venne posta d’assedio da Francesco I nell’autunno 1524, ma riuscì a resistere, fino all’arrivo dei rinforzi, 20mila uomini, da Spagna, Napoli e Germania.
Quando i generali Carlo d’Asburgo decisero di rompere gli indugi, si arrivò allo scontro campale nel Parco Vecchio pavese.
La battaglia ebbe sorti alterne e volgeva a vantaggio delle potenti artiglierie francesi. Fra le truppe dell’Orleans si battevano i mercenari italiani di Giovanni dalle Bande Nere (già ferito), reparti di fanteria svizzera, la Banda Nera dei lanzi fiamminghi e la potente cavalleria nobile di Francesco.
Sul fronte imperiale, erano impegnati i lanzi tedeschi, la guarnigione di Pavia e la fanteria spagnola, formata da picchieri che proiettavano lunghe aste, archibugieri e armieri dotati di daghe e piccoli scudi.
L’artiglieria gigliata stava avendo la meglio, anche perché quella spagnola si era spinta troppo avanti ed era stata catturata.
A quel punto Francesco decise di sbaragliare le fanterie nemiche con la sua cavalleria, ma così facendo si frappose ai suoi cannoni, sospendendone l’azione. Non aveva fatto i conti con i 700 archibugieri del futuro tercio spagnolo (sarà una formazione efficace, che combinerà la linea rigida dei picchieri alla potenza di fuoco dei moschettieri armati di archibugi). Il fuoco annientò la gendarmeria (da gens d’armes, nobili cavalieri protetti da pesanti corazze) e cambiò le sorti dello scontro.
Ad Agincourt, popolani inglesi addestrati lungamente all’uso dell’arco lungo avevano avuto la meglio sugli eleganti cavalieri, rallentati dal fango e appesantiti dalle corazze. Centodieci anni dopo, la lezione si è ripetuta, sempre a danno dei francesi. Il fango c’era, il peso dei gendarmi pure. Il resto lo fecero gli archibugi. E pensare che qualcuno dubitava della loro efficacia, altri li consideravano aggeggi volgari, inadatti alle regole del combattimento cavalleresco: armi del diavolo.
Le armi del Diavolo: Anatomia di una battaglia: Pavia, 24 febbraio 1525
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