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Recensioni di libri

La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia di Jurij Tynjanov

Edizioni Settecolori, 2022 - La storia è ambientata fra Russia e Persia negli anni Venti dell’Ottocento e ha per protagonista un personaggio realmente esistito. Un romanzo dalle mille sfaccettature che indaga la condizione dell’uomo e la fragilità dell’esistenza di fronte alla Storia e agli interessi superiori dello Stato.

Alessandra Piras
Alessandra Piras Pubblicato il 14-04-2022
La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia

La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia

  • Autore: Jurij Tynjanov
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Edizioni Settecolori
  • Anno di pubblicazione: 2022

Negoziati, trattati di pace, spie e complotti sono termini a noi familiari, vista l’attualità. Parole che troviamo intatte con le dinamiche che si portano dietro, in un romanzo ambientato negli anni Venti dell’Ottocento, le quali non divergono da quelle che vediamo poste in essere ora. Redatto quasi un secolo dopo gli avvenimenti descritti, La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia di Jurij Tynjanov è stato appena pubblicato per la prima volta in italiano dall’editore Settecolori, nella traduzione di Giuliana Raspi, in una collana essenziale ma ben curata.

L’autore è considerato il principale esponente della scuola letteraria dei formalisti russi. Il poeta e scrittore francese Louis Aragon ammette che avrebbe voluto scrivere lui questo romanzo, considerandolo il più straordinario romanzo storico che si possa leggere, come troviamo in prefazione.
È un teatro tragico e beffardo quello che viene rappresentato, in cui al centro della scena c’è un personaggio realmente esistito, Aleksandr Sergeevič Griboedov, un diplomatico russo che non era solo funzionario pubblico, ma anche un creativo, conosciuto soprattutto per la commedia Che disgrazia l’ingegno!, composta durante il periodo di licenza dall’incarico. Un testo piuttosto ironico che subì la tagliola della censura.
Fu grande amico del ben più famoso Puskin, che compare egli stesso nella storia.

I tempi narrati sono quelli relativi alle politiche di Nicola I, tra i quali un tentativo sedato di insurrezione (la rivolta dei decabristi) nei suoi confronti in cui Griboedov venne ritenuto coinvolto. Grazie all’appoggio del suo comandante con cui era imparentato, Paskevič, un uomo da cui era stato messo in guardia anche da un amico decabrista (“può stimarsi felice soltanto colui che non ha niente da perdere”, gli disse), riesce a mantenere e rinsaldare la sua posizione.

È la madre del protagonista, Nastas’ja Fedorovna, a chiedere l’intervento del parente a causa della pessima situazione economica della loro famiglia. Griboedov è un funzionario diligente che è tornato a San Pietroburgo dopo aver fatto visita ai suoi familiari a Mosca con la bozza del Trattato di Turmanchay. Viene invitato a feste e ricevimenti come una celebrità. Quel trattato è essenziale per fermare la guerra con la Persia, ma è importante per crearne un’altra, con la Turchia.

Viene nominato ministro plenipotenziario dal conte Nesselrode, “un nano grigio d’aspetto”, vice cancelliere dell’impero, il quale aveva delle mire espansionistiche precise. Griboedov è una pedina priva di alternative a cui viene assegnata una nuova spedizione in Persia. In Russia non ha grandi affari e a Teheran andava per farne. La madre premeva perché con la poesia non c’era da vivere mentre con la diplomazia i denari arrivavano. Gli amici, alcuni ormai ex amici, che sognano una vita altrove. Per sfondo il meccanismo degli affari e degli affaristi di stato. Questa è la situazione di fatto che lascia quando parte, col suo servo, alla volta del Caucaso per arrivare poi a destinazione.

La contrapposizione fra politica e poesia – il testo è ricco di citazioni e frammenti lirici – corre parallela nella narrazione al dualismo Persia-Russia.
Le avventure arabesche lo portano a innamorarsi di una giovane del posto e a stringere amicizia con un eunuco dell’harem dello Scià. Gli esiti sono dolorosi. All’interno di una civiltà refrattaria ai cambiamenti e già con sentimenti ostili si espone a notevoli rischi.

“Egli disprezzava e offendeva le abitudini dell’Iran, le sante abitudini, egli aveva portate via le mogli di una persona rispettabile e non si fermò neppure quando tolse allo stesso padiscià, a Sua Maestà, un servo.”

Viene massacrato da una folla inferocita durante un assalto all’ambasciata.

La morte di Vazir-Mukhtar è un libro di grande spessore non tanto per la sua mole (poco meno di 600 pagine), ma soprattutto per il valore letterario e simbolico. È un romanzo sulla condizione dell’uomo e sulla fragilità dell’esistenza posta di fronte a interessi superiori. L’autore ha indagato in questo gli aspetti più psicologi, esaltando la coscienza individuale.

Come scrive Armando Torno nella bella postfazione, Tynjanov si avvale dei documenti certamente, ma dove le carte tacciono si affida alla creazione letteraria senza tradire il personaggio e senza piegarsi ai miti occidentali o sovietici.

“Mi sono rivolto ai documenti per scoprire che mentono come gli uomini”,

dirà lo stesso Tynjanov in una battuta poi divenuta celebre negli ambienti.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La morte del Vazir-Muchtar. Sangue e diplomazia in Persia

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