La croce buddista
- Autore: Jun’ichirō Tanizaki
- Casa editrice: Guanda
Agli occhi di un occidentale, questa storia è solo la narrazione di un rapporto lesbico che tende al patologico: Sonoko, sposata, si innamora, ricambiata, della bellissima Mitsuko. Fin da subito la relazione è puntellata di bugie e sotterfugi che Mitsuko mette in atto prima per nascondere il suo amante Watanuki, poi per mantenere un rapporto a tre, e infine, una volta uscito di scena Watanuki, per garantirsi l’adorazione incondizionata da parte sia di Sonoko che del di lei marito.
Finte gravidanze, furti inscenati ad hoc, patti firmati col sangue, ricatti, sono tutti elementi che ingarbugliano la vicenda e ci fanno alzare un sopracciglio dubitando della sua verosimiglianza.
Per capire un poco di più la storia, però, bisogna tener conto dell’estrema paura orientale di "perdere la faccia", il terrore giapponese delle chiacchiere, il sospetto che attraverso le porte di carta si diffondano le voci su ciò che, se fatto di nascosto, non è considerato così grave in sé.
Si deve mantenere ad ogni costo un aspetto onorato, i pettegolezzi sono temutissimi. Se si intravede il rischio di perdere la faccia di fronte alla comunità, tanto vale minacciare di suicidarsi una, due, tante volte:
In casi come quello il sistema migliore è pronunciare la frase "mi uccido", non c’è altro mezzo...
Ma Tanizaki non perdona: a forza di minacciare il suicidio, il morto ci scappa. E’ il suo modo per ripristinare un ordine nel mondo "innaturale" dell’amore omosessuale?
Non credo.
Sonoko sopravvive per raccontarci la sua storia. Ne ha passate di cotte e di crude ed è arrivata lei stessa ad un passo dalla morte; eppure non riesce ad odiare l’ex amante:
Anche adesso, quando penso a Mitsuko, più che rancore o rabbia provo una nostalgia, una nostalgia...
Non parla di amore, parola che quasi non compare nel romanzo, ma di nostalgia: il sentimento dell’assenza, la presa di coscienza che il passato, doloroso o gioioso che fosse, non c’è più.
Il senso dell’impermanenza e della transitorietà delle cose mondane (v. il termine ukiyo, di origine buddista, da cui il concetto di "mondo fluttuante" del periodo Tokugawa) è la vera ossessione attorno a cui ruota il romanzo. Al di là dei feticismi, delle menzogne e delle passioni, ridotti, alla fine, a meri accessori.
Tutto passa. Niente dura per sempre.
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Di Tanizaki (1886-1965), uno dei massimi narratori della narrativa giapponese del secolo scorso, leggiamo questo romanzo del 1928 edito da Guanda nell’elegante collana de “Le Bussole”: e lo leggiamo con qualche aspettativa e curiosità, in quanto viene presentato in copertina come un “classico della letteratura erotica”. In realtà, di eros se ne trova poco, nelle 250 paginette del volume, e invece di noia, mescolata a un leggero senso di fastidio, tanta. Protagonista del racconto è Sonoko, giovane e non troppo avvenente moglie di un uggioso avvocato di Tokyo: Sonoko narra in prima persona a un misterioso e silenzioso Maestro (una guida spirituale? un saggio o un monaco buddista? una sorta di psicanalista estraneo alla cultura occidentale?) della sua complicata vicenda esistenziale, da cui arguiamo soprattutto di trovarci di fronte a una signora benestante e insoddisfatta, viziata e superficiale, in spasmodica ricerca di emozioni e situazioni che la liberino dal suo torpore quotidiano. Sonoko ha già tradito il marito, che non sembra particolarmente turbato dall’incostanza della moglie: ma nella vicenda qui narrata viene sconvolta dalla turbinosa passione per una splendida ragazza, Mitsuko, con cui intreccia una relazione frenetica ed eccitante. Si badi bene che Tanizaki non racconta in nessun modo particolari o atteggiamenti relativi alla sessualità, non c’è nessuna pruriginosità pornografica, nessuna morbosità descrittiva. Solo accompagna il lettore attraverso una serie di situazioni labirintiche, e in fondo anche comiche, in cui le due ragazze si trovano invischiate rispetto alle loro pudiche famiglie, ai domestici e ai relativi partner di sesso opposto. Ne deriva una carambola di incontri, bugie, sotterfugi, ricatti, promesse, fughe e ritrovamenti, gravidanze supposte o reali, aborti minacciati o concretizzati, promesse siglate col sangue, in cui tutti i protagonisti appaiono insieme persecutori e vittime. Mitsuko è affascinante e crudele, irretisce con la sua conturbante personalità e bellezza chiunque incontri: la futile amante, il bolso e paziente marito di lei, un fidanzato impotente e ossessivo, la cameriera e i genitori. Sonoko quasi impazzisce per amore, travolta da una passione irresistibile:
“Se per caso avessi finito per incontrarla per strada... se fosse capitato non le avrei detto niente, ma chissà poi come mi sarei comportata se per caso i nostri sguardi si fossero incrociati! Sarei impallidita e, tutta tremante, non avrei potuto muovere un passo, sarei forse svenuta sulla soglia”.
Mitsuko agisce con crudele sadismo, certa del suo irresistibile fascino a cui nessuno riesce a sottrarsi:
Questa sicurezza di facciata si rivela tuttavia scalfibile proprio nei suoi comportamenti frenetici e irrazionali, nei suoi progetti convulsi di fuga o di matrimonio, nelle sue oscillazioni sessuali; Tanizaki sottolinea con maestria la superficialità del personaggio attraverso una narrazione altrettanto superficiale, priva di scavo psicologico, intessuta di dialoghi brevi e insulsi, fino ad arrivare alla paradossale conclusione, in cui da un triplice suicidio annunciato si salva solamente Sonoko, narratrice carnefice e vittima sacrificale, probabilmente la più forte di tutti.