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Recensioni di libri

La catena di comando nella Grande Guerra di Filippo Cappellano e Basilio Di Martino

Itinera Progetti, 2019 – In un volume non solo per appassionati, due alti ufficiali in servizio approfondiscono i problemi e gli sviluppi delle tecniche di comando, controllo e comunicazione nella prima guerra mondiale.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 07-07-2021
La catena di comando nella Grande Guerra

La catena di comando nella Grande Guerra

  • Autore: Filippo Cappellano e Basilio Di Martino
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2019

Comando e controllo, oggi riassunti nella sigla convenzionale C2, fattori militari essenziali per gli eserciti di tutti i tempi, ancora più determinanti nelle guerre moderne, con truppe numerose e Stati Maggiori spesso lontanissimi dal teatro dei combattimenti. Si pensi che la necessità di una burocrazia militare, indispensabile per gestire armate che distavano anche centinaia di chilometri dalla sede del Comando, si manifestò in tutta evidenza nella prima guerra mondiale. È il tema tecnico sviluppato dagli alti ufficiali e saggisti storici Filippo Cappellano e Basilio Di Martino, nel volume La catena di comando nella Grande Guerra. Procedure e strumenti per il comando e controllo nell’esperienza del Regio Esercito (1915-1918), pubblicato nel 2019 da Itinera Progetti di Bassano del Grappa (272 pagine, con 48 fotografie in bianco e nero in un inserto centrale).

Gli autori sono specialisti oltre che ottimi scrittori. Cappellano, ufficiale carrista, vanta un’esperienza ventennale nell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito. Di Martino, generale dell’Aviazione, è a capo della Direzione armamenti e genio dell’Arma Aerea.

In tema di distanza dallo scenario bellico cruciale, si pensi che nel corso di una fase decisiva della prima guerra, per tutta l’offensiva tedesca su Parigi, sviluppata secondo il piano Schlieffen nell’estate 1914, il comandante supremo dell’esercito del kaiser si mantenne nei comodi uffici in Lussemburgo, risultando isolato nella sua scrivania dalla debolezza delle comunicazioni col fronte e condizionato da notizie che arrivavano in ritardo o non arrivavano affatto.

Sulle comunicazioni, affidate allora a fili telegrafici e telefonici precari, visto che le radio erano ancora in fase embrionale, incidevano le interruzioni continue delle connessioni via cavo, causate da bombardamenti, tagli, difetti materiali e disturbi intenzionali praticati dal nemico. Un ulteriore rallentamento veniva provocato inoltre dalla necessità di fare ricorso alla prassi della cifratura e decifratura, per non renderle chiare al nemico che le intercettava.

Sul fronte italiano, la stasi sul campo imposta dalla guerra di trincea favorì la creazione di una rete di comandi molto articolata nelle retrovie, a una distanza dal fronte proporzionale al rango: più alto il grado degli ufficiali, più ampio il margine di sicurezza dall’artiglieria avversaria. Questo rendeva l’attività quotidiana nei Comandi sempre più vicina a quella di un ufficio civile o una direzione d’azienda, ma sempre meno consapevole della realtà delle prime linee. Non è fiorita a caso la letteratura sugli “imboscati” nelle postazioni sicure, dove le promozioni fioccavano ugualmente, in modo inversamente proporzionale ai rischi, questa volta.
Una soluzione molto diffusa nell’esercito grigioverde furono gli ufficiali di collegamento, i “binocoli” degli Alti Comandi, inviati nelle prime linee ma indipendenti dai superiori locali, rispondendo direttamente all’autorità che li aveva distaccati sul posto.

Da tecnici quali sono, gli autori analizzano a fondo ma con prosa assolutamente agevole il tema che si sono posti. Lo fanno sotto i più svariati e complessi aspetti, illustrando peraltro l’evoluzione degli apparati radiotelegrafici nel corso degli anni del conflitto. Dettero buona prova nella battaglia del Solstizio sul Piave, nel giugno 1918, operando anche in coordinamento con la ricognizione aerea.
La fragilità critica delle vie di comunicazione a filo esposta alle artiglierie era stata drammaticamente dimostrata dall’episodio dei cannoni di Badoglio che tacquero, nelle prime ore della battaglia di Caporetto, per l’impossibilità del tenente generale d’impartire l’ordine di fare fuoco, rigidamente avocato a sé. Il fuoco di sbarramento nemico lo costrinse a continui spostamenti, cercandolo, trovandolo e annullando ogni sua possibilità di agire efficacemente, nel caos provocato dalla ben coordinata offensiva nemica.

Una prova di lucidità la dette invece un ufficiale di collegamento del Comando Supremo, che in piena ritirata sul Tagliamento, a fine ottobre, riferì dell’inaffidabilità delle pur numerose truppe sul posto, di scarsissimo valore morale e materiale. Riscontrò ch’erano allo stremo pure i quadrupedi, allora essenziali. Si decise anche per questo di non intestardirsi in una difesa su quel fiume - che sarebbe stata probabilmente travolta - e di arretrare fino al Piave.
Oltre a trattare diffusamente dei mezzi di comunicazione e una volta esaurito il capitolo degli ufficiali di collegamento, Cappellano e Di Martino si soffermano brevemente sul contributo prezioso dei colombi messaggeri e sulle intercettazioni. Il servizio, affidato al Genio Telegrafisti sfruttava la semplicità quasi spartana dei circuiti telefonici e rappresentò una delle fonti d’informazione più efficace nella nostra Grande Guerra. Nel gennaio 1917, si contavano 37 stazioni d’intercettazione su tutto il fronte. A settembre erano 33 solo quelle della II Armata. Una, il 23 ottobre 1917, intercettò il preavviso di 12 ore dall’attacco trasmesso alla XIV Amata austro-tedesca. Ma era troppo tardi per modificare lo schieramento italiano, fatalmente esposto in avanti.

La catena di comando nella Grande Guerra. Procedure e strumenti per il comando e controllo nell'esperienza del Regio Esercito (1915-1918)

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La catena di comando nella Grande Guerra

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