L’ultimo. I combattimenti di un equipaggio di Panzer nella Festung Posen, 1945
- Autore: Richard Siegert
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2020
In guerra disperata contro l’Armata Rossa, mentre a Ovest gli Alleati sono sbarcati in Normandia e hanno aperto il secondo fronte in Europa. Nel gennaio-febbraio 1945, settantacinque anni fa, la Germania nazista era schiacciata in una morsa inesorabile, ma si batteva fino all’ultimo uomo, all’ultimo corazzato, come quelli sui quali saliva un giovane carrista, Richard Siegert, autore di un libro su quella esperienza estrema, un volume pubblicato nel febbraio 2020 dalle edizioni Italia Storica di Genova, L’ultimo Tiger. I combattimenti di un equipaggio di Panzer nella Festung Posen 1945 (104 pagine, con illustrazioni in bianconero, mappe, profili a colori).
Un documento di storia che si legge come un romanzo di guerra. E viceversa. Comunque una lettura viva, che fa partecipare. Si assiste al tramonto penoso di un esercito imponente come quello del Terzo Reich, descritto con piglio narrativo scarno ma sanguigno da un protagonista della difesa della “fortezza di Posen”, veterano di guerra ad appena 22 anni, conduttore di carri in un reparto di panzergrenadier fin dall’inizio della campagna di Russia. Nell’estate 1944, era stato impegnato a difesa di Vitebsk. Il 22 giugno migliaia di cannoni russi, compresi i terrificanti lanciarazzi Katiuscia, gli “organi di Stalin”, avevano avviato un’offensiva in Bielorussia e Polonia orientale, l’Operazione Bagration, lo stesso giorno in cui tre anni prima Hitler aveva aggredito l’URSS, attirando il gigante sovietico nella seconda guerra mondiale. Un mese dopo, il Gruppo Armate Centro della Wehrmacht era fuori combattimento e l’esito dell’intero conflitto era deciso, con le forze tedesche in via di esaurimento e con possibilità di rimpiazzi sempre più limitate. A Est non potevano che ritardare l’avanzata sovietica, a Ovest gli angloamericani avanzavano verso Parigi.
I numeri erano tutti contro la Germania. In due giorni, a Vitebsk erano state distrutte due divisioni: 200mila prigionieri, tra cui 58 generali, 20 dei quali si erano suicidati.
Sottraendosi a due accerchiamenti, Siegert aveva raggiunto la Prussia orientale, con gli ultimi 10 uomini dei 600 del suo reparto. Rischierato subito, era rimasto ferito a Tilsit, ingaggiando due carri russi T-34. Il suo resoconto sulla battaglia di Poznan (città polacca ribattezzata Posen dai tedeschi) comincia dalla dimissione dall’ospedale militare in Turingia, in uno scenario di desolazione del Paese e dell’esercito tedesco, all’inizio del 1945. Bombardamenti aerei incessanti, niente riscaldamento né acqua calda, vitto scarso.
In otto settimane è dimagrito di sette chili, nonostante i pacchi viveri da casa.
Assegnato a un contingente nella zona di Posen, investita dall’offensiva russa della Vistola-Oder, avrebbe l’occasione per “scomparire” come altri, ma la mancanza assoluta di prospettive lo induce a restare. Erano “tanto nella merda”, che non avrebbe fatto alcuna differenza morire lì o altrove.
Volendo evitare di finire in un’unità raffazzonata alla bell’e meglio, riesce a salire sull’ultimo dei carri Tigre recuperato dall’officina, come puntatore del cannone da 88mm.
“Sempre meglio che marciare contro Ivan armati di un semplice fucile di preda bellica”.
Tutto intorno, lo sfacelo di un Paese. Fanno compassione i civili, una volta hitleriani festanti, ora povera gente terrorizzata dall’avanzata dell’Armata Rossa (che non faceva e non farà sconti soprattutto alle donne dell’odiato nemico “fascista”). Siegert descrive le colonne che percorrono senza sosta le strade verso la Germania centrale. Contadini con carri stracarichi di letti e stoviglie, anziani e bambini con l’orrore dipinto sui volti.
Quando arriva in zona, Posen è difesa da una formazione di giovani allievi della scuola ufficiali e da deboli reparti della milizia territoriale (soldati di classi mature richiamate e “rivedibili” dichiarati abili alle armi). Ce ne sono anche di debolissimi: quelli della Volkssturm, formata da anziani e ragazzini, sommariamente armati. Il regime ha chiamato Poznan la roccaforte di Posen Festung Posen, per incentivare lo spirito combattivo dei difensori, a quanto sostiene l’esperto carrista. Ma la depressione è profonda, “la situazione sembra disperata”.
Hitler considera di fondamentale importanza quello snodo sulla strada Varsavia-Berlino per ostacolare l’avanzata sovietica e pretende il massimo sacrificio dal suo popolo. Sarà accontentato, perché la fortezza di Posen resisterà per un mese, dal 24 gennaio al 23 febbraio 1945. A quale costo e con quale prospettiva?
Col suo equipaggio eccellente, il panzer Mark VI "Tiger" puntella coraggiosamente la difesa, intervenendo dove serve di più, distruggendo 17 carri armati e semoventi, oltre a diversi cannoni controcarro russi.
Asciutta, ma coinvolgente, la descrizione dei combattimenti, sempre rischiosi quelli in città, strada per strada e casa per casa, per un mezzo corazzato pesante.
L’Obergefreiter (caporale) Richard Sigert fu l’unico superstite del Tiger, catturato dai russi alla capitolazione della piazzaforte, trascorse quattro anni e mezzo in un campo di prigionia. Ha vissuto a lungo a Hindelang, un villaggio nelle Alpi tedesche e ha scritto i suoi ricordi solo nel 1962, durante una settimana in ospedale, come omaggio alla famiglia. Sono stati stampati per la prima volta in Germania nel 1986. Un documento vero e raro.
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