Eugenio Montale era il poeta preferito di Italo Calvino. In un suo scritto l’autore del Barone rampante lo definì “il poeta della mia giovinezza”.
Montale nei suoi Ossi di seppia, del resto, cantava la Liguria assolata e pietrosa dove Calvino aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza.
Lo scrittore conosceva i versi montaliani a memoria, li ripeteva spesso mentalmente e non esitò a dichiarare nel corso di un’intervista “Montale è stato il mio poeta e continua a esserlo”. In una lettera a Marco d’Eramo, datata 1976, confessava:
Sono stato un montaliano fanatico e continuo ad esserlo.
Ma non è necessario andare tanto in là per trovare confessata, nero su bianco, la sua smisurata passione letteraria per il poeta. Già nel 1959, rievocando il clima storico e sociale della sua formazione, Calvino scriveva:
Il poeta della nostra giovinezza è stato Eugenio Montale: le sue poesie chiuse, dure, difficili, senza nessun appiglio a una storia se non individuale e interiore, erano il nostro punto di partenza: il suo universo pietroso, secco, glaciale, negativo, senza illusioni, è stato per noi l’unica terra solida in cui potevamo affondare le radici.
Avrebbe parlato di Montale ancora e ancora, citandolo apertamente, ad esempio, in un famoso saggio contenuto in Perché leggere i classici, oppure fornendo una rilettura della celebre poesia Forse un mattino andando in un’aria di vetro. Ma più notevoli sono le influenze montaliane inconsce che i critici hanno riscontrato nella scrittura di Calvino a livello lessicale, iconico e tematico.
Vari documenti, inoltre, rivelano un forte rapporto di stima reciproca tra i due grandi autori del Novecento.
Dunque, cos’hanno in comune Calvino e Montale? Innanzitutto un’amicizia geniale che comportò una determinante influenza letteraria, scopriamola insieme.
L’omaggio di Calvino a Eugenio Montale
Link affiliato
In occasione dell’ottantesimo compleanno del poeta ligure, Calvino decise di offrire una rilettura di una delle sue poesie più famose Forse un mattino andando in un’aria di vetro.
Il saggio calviniano è contenuto nel volume Letture montaliane (Bozzi Editore, 1977).
Nel suo intervento Calvino osservava come Forse un mattino andando in un’aria di vetro si distaccasse in maniera netta dalle altre poesie della raccolta Ossi di seppia, in quanto non si trattava di una poesia narrativa ma di una poesia di immaginazione.
Le altre poesie di Montale descrivono il paesaggio ligure presentandone oggetti e caratteristiche, mentre questa presa in esame da Calvino è connotata da un’atmosfera surreale, ambientata in uno spazio non meglio definito, quasi metafisico.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Nel suo saggio Italo Calvino paragona Forse un mattino andando in un’aria di vetro a un racconto di Borges, contenuto in Zoologia fantastica, in cui lo scrittore parla di una creatura inventata, mitologica, l’hide-behind. Questo animale leggendario, appartenente al folclore americano, era noto per la sua capacità di nascondersi; infatti l’hide-behind è noto per la sua facoltà di muoversi sempre dietro le spalle dell’individuo. Calvino sostiene che il protagonista della poesia di Montale infine riesca a voltarsi e afferrare l’hide-behind che, nei versi montaliani, coincide con la percezione del “nulla” di cui è fatto il mondo.
Tramite questa metafora, spiega infine Calvino, Montale intendeva spiegare l’origine della conoscenza.
Ritroviamo quella poesia, Forse un mattino andando in un’aria di vetro, sminuzzata, frammentata in numerosi racconti di calviniani in cui si fa riferimento, guarda caso, a un’aria diafana, a una città di vetro, o ancora, a un viavai di passanti, case, uomini, strade. Come se le immagini di Montale si fossero stampate nella memoria di Calvino e di tanto in tanto emergessero, come lucidi zampilli, sottoforma di narrazioni.
L’idea del mondo che crolla e perde forma è inoltre un ritornello costante nelle opere di Calvino, dai racconti ai romanzi; e lui, come il protagonista del canto di Montale, è l’uomo che rimane in silenzio “col suo segreto”.
Pensiamo poi all’ultimo racconto di Se una notte d’inverno un viaggiatore, dal titolo Quale storia laggiù attende la fine? Il titolo non ricorda, forse, un verso di Montale?
In quel racconto conclusivo, del resto, Calvino trattava tematiche care al poeta degli Ossi di seppia e, soprattutto, criticava il disordine culturale e mentale del mondo contemporaneo che viveva in un’ottica continua di approssimazione, incapace di capire che la realtà “non è quella che si vede”.
Gli articoli di Montale dedicati a Calvino
Anche Montale scrisse di Calvino. Non sembra che la poesia dell’autore ligure fosse stata influenzata in maniera preponderante dallo scrittore, ma di certo Montale leggeva con piacere le opere di Calvino. Lo dimostrano due recensioni entusiaste apparse sul Corriere della Sera.
La prima è una recensione al Barone rampante, che Montale descrive come un “otium felice” nell’opera dello scrittore. Lo definisce un racconto straordinario, anche se meno tragico rispetto al Visconte dimezzato, una fiaba per adulti che gli è nata dalla “noia per le fiabe per bambini”.
Nella seconda recensione, dedicata alle Cosmicomiche, Montale centra il punto citando Borges come uno degli scrittori più amati da Calvino:
Vien di fatto da pensare a Borges come una delle letture di Calvino; ma il raffronto cade subito se si pensa che lo scrittore argentino basa i suoi scritti su pretesti e paradossi di cultura, mentre Calvino svolge qui ipotesi astratte e surreali.
In particolare Montale elogia l’efficacia stilistica di Calvino, il suo “prudente e misurato utilizzo del parlato” e la sua lucida intelligenza di scrittore, osservando infine che l’autore pratica con assoluto disimpegno una politica di inappartenenza a qualsiasi fazione ideologica. Quest’ultima parola, però, la pronuncia quasi con compassione, inserendola tra virgolette e alleviandone il peso con un inciso:
Scrittore che sta trincerandosi deliberatamente (ma forse non per sempre) in un suo fortilizio di disimpegno e di inappartenenza.
L’inappartenenza, per Montale, rappresenta il punto di forza di Calvino in una stagione letteraria che si serviva di tematiche politiche e d’accatto per guadagnarsi una discreta fama. Descrivendo lo scrittore ed elogiandone proprio “l’inappartenenza”, Montale volutamente (e consapevolmente) si autocitava, come testimonia questo verso tratto da Satura:
Dicono che la mia sia una poesia di inappartenenza. Ma s’era tua era di qualcuno.
Quell’inappartenenza che nella recensione diagnosticava allo scrittore come una malattia - anche se capiamo che si tratta di una malattia tutto sommato “benefica”, - era la cifra stessa della sua letteratura.
Calvino e Montale: le influenze letterarie
I critici in seguito hanno riscontrato diversi punti di unione tra la poesia di Montale e la narrativa di Calvino. Entrambe si affacciano sul nulla e lo affrontano con la stessa sobrietà. La simpatia tra loro nasceva dunque dalla coscienza di adottare la stessa prospettiva.
Non era solo lo scrittore a ispirarsi al poeta, ma accadde anche il contrario. Un critico inglese di nome John Butcher ha notato che certi prestiti lessicali e situazioni ritornano curiosamente in Xenia II (1971) e nelle Cosmicomiche (1965), o ancora in Xenia II e in Ti con Zero. Proprio in quegli anni Montale scrisse quattro recensioni alle opere di Calvino, individuandone la tendenza al simbolismo e avvertendo il lettore di non cercare per forza “il senso allegorico del racconto”. È inutile indagare un simbolo, ci ammonisce Montale, perché perderebbe la sua capacità di suggestione. Così il poeta ci sta fornendo la più formidabile chiave di lettura dell’intera opera narrativa di Calvino.
Entrambi inoltre condividevano lo stesso parere sull’oggettività della narrativa loro contemporanea, Montale stesso cita Calvino e il suo Il mare dell’oggettività (1960) nel saggio Salvarsi da soli (contenuto in Il secondo mestiere. Prose 1920-1975):
Debbo constatare il naufragio degli uomini di arte e di penna in ciò che lo scrittore Italo Calvino definì come la “marmellata dell’oggettività”: in questo vischio sono dentro tutti e più di tutti coloro che buttandosi allo sbaraglio credono di uscirne scrivendo opere demenziali.
Lo scoglio di Montale: l’omaggio di Italo Calvino
Link affiliato
Alla morte di Montale, sulle pagine del quotidiano la Repubblica, il 15 settembre 1981, Calvino dedicò un commosso omaggio al poeta ligure dal titolo Lo scoglio di Montale:
Per quanto lette e rilette le sue poesie catturano ad apertura di pagina e non si esauriscono mai.
Nella morale montaliana lo scrittore individuava la capacità di resistere al finimondo, storico o cosmico, che avrebbe potuto cancellare, da un momento all’altro, la “labile traccia del genere umano”.
Lo stesso elogio a Montale sarebbe stato inserito da Calvino in Perché leggere i classici, in cui lo scrittore sosteneva il famoso inconfutabile assioma letterario: “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Poi proseguiva affermando che un classico è un libro che non può esserti indifferente, in quanto ti serve per definire te stesso, in contrasto o in accordo con quanto in quell’opera è scritto.
Non v’è dubbio che Calvino si trovasse in perfetto accordo con l’opera di Montale che nella conclusione definisce con parole nitide, luminose, perfettamente autoconclusive, come “il poeta dell’esattezza”:
In un’epoca di parole generiche e astratte, parole buone per tutti gli usi, parole che servono a non pensare e a non dire, una peste del linguaggio che dilaga dal pubblico al privato, Montale è stato il poeta dell’esattezza, della scelta lessicale motivata, della sicurezza terminologica intesa a catturare l’unicità dell’esperienza.
Calvino invitava a leggere Montale, che con estrema lungimiranza letteraria aveva considerato un “classico” ben prima che sulla sua opera si fosse posata la patina rivelatoria del tempo e fosse valutata alla luce di una nuova prospettiva storica. Sapeva che nel “diluvio di carta stampata” del Novecento le opere di Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975, erano destinate a sopravvivere, a durare e, pure a distanza di anni, a essere ancora lette, discusse, studiate e amate.
La cosa più stupefacente è che la stessa preveggenza la dobbiamo a Montale nei confronti di Calvino, pure senza il vantaggio offertogli dalla posterità. Nel giovane Italo, il grande poeta aveva scorto il vantaggio dell’inappartenenza e quindi compreso che la letteratura di Calvino non parlava a un solo lettore, ma a un lettore universale, e dunque era destinata a non perire.
Quest’anno festeggiamo i cento anni dalla nascita di Italo Calvino e possiamo dire che Eugenio Montale aveva capito, con un’ampiezza di vedute quasi profetica, ciò che ai suoi contemporanei sfuggiva. Anche il caro Italo ci aveva visto giusto; ma del resto lui, a differenza dell’altro, aveva già in vita la consapevolezza di parlare di un maestro della letteratura italiana.
Ora a noi lettori non resta che domandarci, passato lo stupore per questi straordinari incroci di vite: avremmo avuto lo stesso Italo Calvino se non ci fosse stato Montale?
La risposta molto probabilmente è no - e un po’ ci fa paura sapere che se Calvino non avesse letto Montale le sue opere non sarebbero mai state scritte allo stesso modo, ma con parole diverse, riferimenti diversi.
In fondo è anche la prova che la letteratura produce altra letteratura in un circuito inesauribile di parole, opere, destini. La prova che ogni libro, ogni opera, non è solo il prodotto di una mente pensante, ma di un’epoca, di un periodo storico e, soprattutto, di un dialogo umano.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’amicizia geniale tra Montale e Calvino
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Italo Calvino Storia della letteratura Eugenio Montale
Lascia il tuo commento